Campodimele (LT) il paese della longevità

Campodimele  (LT)  il paese della  longevità
Tra l'indifferenza dell' Amministrazione Comunale, in assenza di controlli, In località Sterza Piana Lenola (LT) ai confini del Parco Naturale dei Monti Aurunci , a meno di trecento metri dalle abitazioni private, i cittadini, tutti i giorni, assistono a questo scempio che rende l'aria irrespirabile con inevitabili conseguenze sulla salute pubblica grazie a questo impianto allocato nel confinante comune di Campodimele

venerdì 30 aprile 2010

Niky Vendola intervistato da Corradino Mineo questa mattina su Rai New 24: “ c'è vecchiezza nella politica del centrosinistra”



"Siamo di fronte all'esplosione di una crisi sociale che non è stata raccontata, non è diventata oggetto della contesa pubblica. I mass media si sono distratti. Non c'è stata la messa a punto della fotografia dell'insieme. Abbiamo visto qualche tassello, ma non il mosaico E' un paese che rischia di precipitare insieme ad altri territori dell'Europa."

La crecita di questi ultimi anni è stata una crescita drogata che pensava di mettere in un angolo il lavoro. Era una crescita che non riguardava l'economia reale ma nell'economia finanziaria che ha prodotto una gigantesca bolla speculativa che è esplosa in faccia al mondo.

Lei è un paradosso, è un esponente della sinistra che ha vinto la sua battaglia in Puglia, eppure è quello che più parla di sconfitta delle sinistre, perchè?

"Trovo incredibile che il Pd non si accorga di quello che è accaduto. Nelle ultime elezioni regionali si è verificata una delle più cocenti sconfitte della sinistra che perfeziona una serie di sconfitte elettorali che a loro volta ci mandano a dire di una sconfitta culturale, sociale, epocale. I leader del PD si comportano come degli esorcisti. Non c'è prospettiva di rivincita, di ricostruzione se non si guarda in faccia la realtà.Il centrosinistra non ha il vocabolario giusto per essere credibile, per costruire un'alternativa di governo e quindi deve ricominciare. Bisogna andare fuori dai partiti a cercare materiali culturali, bisogna avere il coraggio di un'innovazione radicale. Il centrosinistra è un repertorio di cose vecchie."

Parlando di sconfitta epocale non si condanna il centrosinistra che lo relega nell'irrilevanza?

"La sconfitta epocale è nelle dichiarazioni di queste ore, nell'enfasi con cui si parla di Fini che viene percepito come un ingrediente salvifico del centrosinistra. La sconfitta epocale è dire che il Pd deve diventare più sexy (Enrico Letta ndr).Parlare di sconfitta epocale significa guardare il volto dell'Italia di oggi, scoprire che c'è un Paese smarrito, è accorgersi che in Europa crescono formazioni neonaziste e che esiste un clima di intolleranza che ha cambiato il sentimento di un territorio da sempre considerato il fortino della civiltà e che oggi sembra un fortino assediato".

"Il centrosinistra ha reso offuscata la prospettiva del lavoro come immagine del guadagno del futuro. Se il lavoro è un destino di precarietà diventa una condizione di subalternità culturale. Su questo dobbiamo fare il salto. Sull'idea di produzione di ricchezza non dobbiamo essere simmetrici alla destra. La sinistra deve mettere in campo un'idea dello sviluppo fondata sulla valorizzazione dell'ambiente, delle risorse umane, su un patto con le nuove generazioni".

"La sinistra è in uno stato confusionale, non ne capisco il profilo"

"Le primarie sono uno strumento fondamentale evocano una speranza che mette anima nel centrosinistra. Non potremo tornare a vincere se non abbatteremo il muro della passività. Ritorneremo a vincere restituendo al popolo la passione per la politica".



Guarda il Video: http://www.rainews24.it/it/video.php?id=19148






SAF-IMPIANTO RADIOATTIVO





24 Aprile 2010 Fonte: http://mauroferr.blogspot.com/2010/04/saf-impianto-radioattivo-e-allarme.html

già da ieri è in funzione il R.P.M – Radiation Portal Monitor

Dopo la contestazione da parte dell’ARPA sulla presenza di rifiuti radioattivi dentro l'impianto di smaltimento di Colfelice, prima negato e poi ammesso, alla dirigenza SAF non è rimasto altro che attivarsi per l' installazione del "portale radiometrico".

Ne ha dato comunicazione la SAF stessa con una nota inviata ai 91 comuni della Provincia, all’Amministrazione Provinciale, alla Regione Lazio, al Prefetto, alle Procure di Cassino e Frosinone, alla USL e all’ARPA.

Nella comunicazione stessa, inoltre, la SAF dice chiaramente che: “respingerà i carichi di rifiuti conferiti per i quali fosse rilevato un qualche livello di radioattività che, evidentemente, finirebbe col determinare il mutamento della natura giuridica del rifiuto in pericoloso, per il cui trattamento la SAF non è autorizzata”.

Che sia un primo importante passo verso la legalità del traffico dei compattatori è fuor di dubbio ma non credo che sia sufficiente per salvaguardare la salute ambientale e soprattutto la vita delle persone che abitano il comprensorio di Roccasecca- Colfelice-San Giovanni Incarico perchè è notorio che piccole dosi di radiazioni su un lungo periodo possono causare vari tipi di cancro (alla tiroide, ai polmoni, al seno e al sistema emo-linfopoietico) e modificare il DNA.

Ben altri interventi occorrono, ben più importanti e proficui per il nostro territorio martoriato!!!!!

http://mauroferr.blogspot.com/2010/04/saf-impianto-radioattivo-e-allarme.html

mercoledì 28 aprile 2010

Eutelia: Un 'mistero' ancora da decifrare di Sonia Alfano






Nonostante la Commissione di cui sono membro si occupi di libertà pubbliche, giustizia, sicurezza, affari interni e immigrazione, c'è un tema che mi sta a cuore: il lavoro.

Per questo ho seguito fin dai primi momenti la vicenda dei lavoratori 'Eutelia-Agile', vittime di spregiudicate operazioni finanziarie fuorilegge. La Agile, con una disinvolta operazione finanziaria voluta dalla banca Monte Paschi (che controlla Eutelia), è stata ceduta dalla Eutelia Spa. Questa cessione ha interessato più di 1.000 persone: sia giovani ventenni che persone di altissima professionalità e competenza che lavorano nel settore da più di 40 anni. Gran parte di questi lavoratori adesso viene definita 'sacca di personale improduttivo'. Non dimenticherò mai la telefonata, ricevuta verso metà novembre, che mi avvertiva di un'incursione 'squadrista', come una sorta di 'spedizione punitiva' al presidio Eutelia di Via Bona, a Roma. Sono stati momenti concitati, avevo preso a cuore la vicenda di questi lavoratori e mi ha molto angosciata l'idea che l'ex amministratore dell'azienda, Samuele Landi, potesse commettere atti di questa gravità.

Proprio a Novembre sono intervenuta al Parlamento europeo su questa vicenda, durante una plenaria, spiegando che l'azienda non aveva rispettato le norme comunitarie sui trasferimenti aziendali. Queste norme, contenute nella direttiva 2001/23/CE, che è stata recepita in Italia con decreto legislativo 18/2001, richiedono specifici requisiti di imprenditorialità da chi acquisisce un ramo d'azienda, in termini di organizzazione dei mezzi di gestione del rischio, proprio per tutelare i lavoratori da cessioni illegittime e strumentali. Il licenziamento dei lavoratori in esubero subito dopo l'acquisizione è la prova che la Agile non avesse questi requisiti e che l'operazione era stata creata ad hoc per dichiarare fallimento e liberarsi dei 1.192 esuberi. Eutelia ha cosi potuto licenziare i lavoratori senza dover pagare loro il TFR, che secondo i calcoli corrisponde a 54 milioni di euro, rimasti così a disposizione dell'azienda.

Ho presentato anche un'interrogazione scritta alla Commissione per chiedere come intendesse garantire il rispetto della normativa citata, al fine di rendere effettiva la tutela dei lavoratori vittime di grandi operazioni speculative del mercato, e se intendesse provvedere all'adozione di norme per prevenire violazioni di legge che, come nel caso di specie, possono configurarsi come dei reati di truffe economiche a danno dei lavoratori.

Ho ricevuto risposta soltanto il 21 aprile.
La Commissione sostiene che nella situazione da me descritta si potrebbe applicare la direttiva 98/59/CE del Consiglio, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi: la direttiva stabilisce che un datore di lavoro che prevede di effettuare licenziamenti collettivi, deve procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo.
Nelle consultazioni devono essere esaminate le possibilità di evitare o di ridurre i licenziamenti nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento.

La direttiva 2008/94/CE stabilisce l'obbligo degli Stati membri di assicurare che un organismo di garanzia assicuri, entro certi limiti, il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati che risultano da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro in caso di insolvenza del datore di lavoro. Purtroppo, però, a norma dell'articolo 3 paragrafo 1 della direttiva, spetta al diritto nazionale determinare se le indennità dovute a seguito dello scioglimento del rapporto di lavoro sono coperte dalla garanzia di pagamento da parte dell'organismo di garanzia. La Commissione mi ha inoltre avvertita che non è autorizzata ad interferire con decisioni prese da imprese private e poiché le direttive sono state recepite in Italia, spetta alle autorità nazionali competenti (in particolare ai tribunali) garantire l'applicazione corretta ed efficace delle disposizioni nazionali di recepimento, alla luce delle circostanze specifiche ad ogni caso, allo scopo dell'adempimento di eventuali obblighi del datore di lavoro.

In questi mesi mi sono resa conto di quanto ci sia bisogno di lavorare anche sul Parlamento europeo. Non basta il Trattato di Lisbona ad accorciare le distanze tra l'Europa e gli Stati membri, è evidente. Contrariamente a quanti pensavano che il Trattato di Lisbona avrebbe limitato le competenze degli Stati membri, infatti, spesso la Commissione europea volutamente restringe il proprio campo d'azione per non interferire sulle decisioni degli Stati membri, atteggiamento apprezzabile qualora ci trovassimo di fronte a governi responsabili e corretti. In questo caso, come in tanti altri, forse sarebbe opportuno agire solo ed esclusivamente nell'interesse e a tutela dei lavoratori, e non di uno Stato membro che pecca in buon senso e viola la dignità dei propri cittadini solo ed esclusivamente per fare arricchire i soliti furbetti del quartierino, gli amici degli amici e i parenti.

SONIA ALFANO

martedì 27 aprile 2010

L’ACQUA E’ UN BENE IRRUNUNCIABILE FIRMATE PER NON REGALARLA AI PRIVATI





Tra sabato e domenica sono state raccolte, tra l’entusiasmo dei Comitati Promotori oltre 100.000 firme, “Siamo di fronte ad un vero e proprio risveglio civile, hanno dichiarato i comitati, un risveglio che parte da associazioni e da cittadini liberi, un risveglio che parte dall’acqua”.

I quesiti sono tre:

PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua
Abrogazione dell’articolo 23 bis della legge 133/2008 approvata dal Governo Berlusconi che prevede l’affidamento della gestione del servizio idrico a soggetti privati. Abrogare questa norma significherebbe contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.

SECONDO QUESITO : aprire la strada per far tornare l’acqua un bene solo pubblico
Abrogazione l’art. 150 del D. Lgs. n. 152/2006 L’articolo definisce come uniche modalità di affidamento del servizio idrico la gara o la gestione attraverso Società per Azioni a capitale misto pubblico privato o a capitale interamente pubblico. L’abrogazione di questo articolo non consentirebbe più il ricorso né alla gara, né all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo la possibilità di rendere di nuovo pubblico il servizio idrico, cioè la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali.

TERZO QUESITO : eliminare i profitti dal bene comune acqua
Abrogazione l’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 verrebbe eliminata quella parte di normativa che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7%.
Abrogare questa norma significherebbe non rendere conveniente ai privati gestire l’acqua.

L’acqua è di tutti, non possiamo permettere a soggetti privati la gestione di un bene essenziale per la vita. Consegnarlo nelle mani delle aziende rappresenterebbe la conferma dell’incapacità di questo Governo di gestire ciò che è pubblico. Incapacità che ha già ha avuto i suoi effetti nell’Istruzione e nella Sanità.

Se qualcosa non funziona nei servizi essenziali vanno posti i correttivi per fare in modo che funzionino, basterebbe, come avviene negli altri paesi europei, collocare al posto giusto uomini competenti e non i soliti raccomandati da tizio, da caio da Fazzone e dopo aver visto il filmato di Striscia la Notizia forse anche da Renata Polverini.

E’ giusto privatizzare la Cirio non l’acqua, gli ospedali o la scuola.


SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTÀ (LENOLA) INSIEME A ITALIA DEI VALORI (LENOLA) PARTITO DEMOCRATICO (LENOLA) E AI COMITATI PROMOTORI:

IL GIORNO 1 MAGGIO SARANNO SUL COLLE PER RACCOGLIERE LE FIRME CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA DALLE ORE 10.00 ALLE ORE 13.00 DALLE ORE 17.00 ALLE ORE 20.00

IL GIORNO 2 MAGGIO SAREMO A PIAZZA PANDOZY DALLE ORE 10.00 ALLE ORE 13.00 E POI DI NUOVO SUL COLLE DALLE ORE 17.00 ALLE ORE 20.00

INVITIAMO TUTTA LA CITTADINANZA A FIRMARE: L’ACQUA E’ INSAPORE, INODORE E “INCOLORE” E A MAGGIOR RAGIONE NON LE FACCIAMO ASSUMERE NESSUN COLORE POLITICO.

domenica 25 aprile 2010

Il 25 Aprile................






Sebbene ai giorni nostri sia considerata da molti come una semplice giornata di festa , come da calendario…in realtà tale data ha un significato storico importante in quanto rappresenta un giorno importante per la nostra giovane repubblica italiana. E’ l’anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste tedesche e contro i fiancheggiatori fascisti della Repubblica Sociale Italiana.

Il 25 aprile segna il culmine del risveglio della coscienza nazionale e civile italiana impegnata nella riscossa contro gli invasori e come momento di riscatto morale di una importante parte della popolazione italiana dopo il ventennio fascista.

Alla liberazione dell’Italia si potè arrivare grazie al sacrificio di tanti giovani ragazzi e ragazze…i partigiani, che combatterono al fianco di molti soldati provenienti da paesi lontani e diversi (dagli Stati Uniti all’Australia, senza dimenticare Inglesi e Francesi) ma tutti accolti come alleati.

Una delle piu’ belle canzoni che celebrano questi momenti di risveglio nazionale è rappresentata da “Bella ciao”, canzone popolare cantata dai partigiani durante la resistenza quando si combatteva contro le truppe fasciste e naziste.


NON A CASO PROPRIO OGGI E’ STATA RIAPERTA RADIO 100 PASSI.
L'iniziativa era già partita nel mese di gennaio, in occasione della nascita di Peppino Impastato, l'ascolto avveniva solo via streaming , da oggi, chi vuole ascoltarla può farlo in FM per intervenire nelle prossime trasmissioni
091 8887103

sabato 24 aprile 2010

Pd, no al referendum sull'acqua. di Roberto Rossi




Contro il disegno di privatizzazione forzata dell’acqua pubblica, definita dalla recente legge Ronchi, il Partito democratico non sosterrà la campagna referendaria. «Pur guardando con simpatia a tutti quei movimenti che si battono contro il rischio di monopoli privati» ha detto il segretario Pierluigi Bersani «riteniamo che il referendum non sia la strada giusta». Il Pd, quindi, seguirà un’altra via. E cioè formulerà, nel più breve tempo possibile, una proposta di legge coinvolgendo gli amministratori locali e i cittadini. Si parte subito. Il primo appuntamento è per oggi a Torino. L’obiettivo complessivo è quello di raccogliere, sulla petizione, un milione di firme.

Referendum
Con la decisione del Pd, dunque, il fronte che si batte contro la privatizzazione dell’acqua presenta tre diversi schieramenti. Oltre al Partito democratico, in campo ci sono il Forum di movimenti per l’acqua pubblica e l’Italia dei Valori. Entrambi hanno scelto la strada del referendum per modificare la legge Ronchi. Il Forum, che raccoglie una sterminata serie di sigle della società civile, ha già depositato in Cassazione tre quesiti e si appresta a partire con la raccolta delle firme il 24-25 aprile. Così come l’Italia dei Valori. Il partito di Di Pietro si è spinto, però, oltre. Presentando delle proposte anche per il legittimo impedimento e per la legge che reintroduce il nucleare per uso civile in Italia. «Il referendum – ha spiegato Bersani – è una battaglia fondata ma lo strumento referendario da solo non basta». Perché, sempre secondo il leader del Pd, è inadeguato «sia per la scarsa efficacia dimostrata negli ultimi anni (24 referendum persi su 24 dal 1995 in poi), sia perché abroga leggi senza definirne di nuove e di più efficaci».

Proposta
Da qui la proposta di una nuova norma. Che è anche il frutto di un compromesso tra le tante anime locali del partito. Da nord a sud le differenze in materia di gestione dei servizi idrici sono notevoli. La scelta di Bersani, dunque, è anche il frutto di una sintesi non facile. Per ora, comunque, la cornice del progetto è costituita da sei linee guida.

La prima riguarda la costituzione di una forte Autorità indipendente, compartecipata da Stato e regioni, in grado di regolare la gestione. Questa Authority, pensata sul modello dell’Aifa (farmaci), dovrebbe definire gli standard di servizio, monitorare i risultati, applicare sanzioni in caso di mancato investimento, incentivare qualità, efficienza e risparmio. La seconda, invece, prevede un forte ruolo delle regioni e degli enti locali nelle scelte di affidamento del servizio idrico. Da realizzare, e siamo al terzo paletto, con una gestione industriale del servizio «che consenta economie di scala, assicuri qualità omogenea e garantisca sicurezza degli approvvigionamenti».

Per fare questo, quarta linea guida, bisogna dare un quadro normativo chiaro «affidando alle regioni il compito di organizzare il servizio idrico integrato» sulla base di ambiti territoriali ottimali, definiti secondo diversi parametri. Le tariffe poi, quinto obiettivo, modulate come corrispettivo del servizio, «devono prevedere una tariffa sociale per dare agevolazioni a determinate fasce di reddito e a nuclei familiari numerosi, e una tariffa che incentivi il risparmio idrico».

Vincoli
Infine, ultima linea guida, devono essere presenti dei «meccanismi che vincolino alla realizzazione degli investimenti necessari per migliorare il servizio, stimati in almeno 60 miliardi di euro, con l’impegno aggiuntivo per garantire lo stesso livello di servizio idrico in ogni area del paese». Un punto fondamentale, quest’ultimo. Oggi la tariffa è commisurata al livello degli investimenti. Soldi che spesso, però, rimangono sulla carta (circa la metà). Con il risultato che in molte zone del Paese si paga una tariffa elevata a fronte di pochi interventi sulla rete.

23 aprile 2010

Non ho saputo resistere alla tentazione di farne un post



Berlusconi a Fini:

"SE VUOI FARE POLITICA LASCIA LA CAMERA."

"E' L'OPPOSTO DI QUELLO CHE HA DETTO ALLA D'ADDARIO!"

Daniele Luttazzi

venerdì 23 aprile 2010

Il Caimano





Oggi ho seguito su Rai New 24 (unica rete Rai quasi libera) in diretta l’intervento di Fini e la replica di Berlusconi alla riunione indetta dalla Direzione del PDL presso l'Auditorium della Conciliazione di Roma.

Fini, per oltre un’ora, ha parlato di Politica con la P maiuscola, ha lasciato intendere che mal digerisce lo “scambio di favori” tra le esigenze elettorali e propagandistiche della Lega e gli interessi personali del Premier, ha rivendicato il diritto di conoscere le posizioni del partito del quale è cofondatore riguardo le riforme, la giustizia, la legalità, l’unità nazionale, il welfare,


Ha detto chiaro e tondo che bisogna smetterla di raccontare frottole agli Italiani, sulla Giustizia, sull’Immigrazione sulla crisi che non c’è, LA CRISI C’È E CHE SARÀ DURA USCIRNE, e se in questi tre anni non si porranno in essere riforme condivise a larga maggioranza il PDL (NON HA CITATO IL PAESE) precipiterà nel baratro.

A NOI NON PIACCIONO LE “MEDICINE” CHE VORREBBE SOMMINISTRARCI IL PRESIDENTE DELLA CAMERA, TRA LE TANTE, QUELLA DI INTERVENIRE SULLO STATO SOCIALE, GIA' DISATRATO, PER RIDURRE L’IRAP SINCERAMENTE NON RIUSCIAMO A COMPRENDERLA, ma non possiamo esimerci dal constatare l’impegno di Gianfranco Fini a difesa del Parlamento e delle Istituzioni aggredite quotidianamente dalla Lega Nord, dal Presidente del Consiglio e dai suoi dipendenti inclusa la stampa di famiglia.

Fini conclude con queste parole: “Finisce la stagione dell’unanimismo e inizia quella del confronto. Questa è la democrazia”

Berlusconi, tra gli applausi dei suoi fedeli, dopo averlo più volte interrotto è passato al contrattacco sparando cazzate a vanvera come usa fare, sempre tra gli applausi dei suoi dipendenti.

Urlando, come se fosse al mercato del pesce, ha raccontato fatti che Fini gli avrebbe confidato in privato, ha accusato Bocchino e D’Urso di aver sabotato il partito con la loro presenza in alcuni programmi di approfondimento.

Al termine del suo intervento, Berlusconi ha affermato che se Fini vuole commentare e criticare l’attività del partito deve farlo da uomo politico e non da presidente della Camera, invitandolo di fatto alle dimissioni.

IL RE E’ NUDO, ma quale RE? Questo è un uomo che grazie all’imbecillità dilagante, della quale ormai è impregnato il nostro paese, sfugge alla giustizia facendo credere agli Italiani di essere perseguitato da una magistratura deviata e politicizzata.

Alla fine Berlusconi ha chiesto la "conta" riguardo un documento pro Berlusconi e contrario alla costituzione di correnti interne.
Il risultato è significativo, su 172 aventi diritto al voto la direzione approva il documento finale con solo 11 voti contrari e un astenuto, l’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu.

I contrari sono stati: Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Adolfo Urso, Flavia Perina, Fabio Granata, Silvano Moffa, Andrea Augello, Donato Lamorte, Pasquale Viespoli, Salvatore Tatarella, Cesare Cursi.
Conclusione il PDL è proprietà di Berlusconi, serve a tutelare gli interessi di Berlusconi non del Paese, si rassegnino i suoi elettori, chi non è d’accordo è fuori dal partito.

Per chi tifiamo noi? Certamente non per Berlusconi ma neppure per Fini, non ci lasciamo incantare dal fatto che si è “ravveduto”.

Continuiamo ad essere preoccupati per l’arroganza di questo Premier, che non conosce il valore del pluralismo, che non risparmia accuse alla Magistratura, alla Corte Costituzionale , che considera inutili laccioli tutti gli organi preposti a tutela della democrazia, temiamo un finale tipo quello anticipato da Nanni Moretti nel film “Il Caimano” altro che RIFORME CONDIVISE.

write26

giovedì 22 aprile 2010

Il Giornale delle Cazzate




Il Tribunale di Monza ha condannato per la terza volta "il Giornale" per gli articoli su Di Pietro


Non è vero che Antonio Di Pietro abbia fatto pasticci con i rimborsi elettorali dell’Italia dei Valori e con l’acquisto di case. L’ha stabilito il Tribunale civile di Monza, che in tre sentenze ravvicinate spazza via anni e anni di campagne del Giornale, condannando in primo grado il quotidiano della famiglia Berlusconi a risarcire l’ex pm per un totale di 244 mila euro, avendolo più volte diffamato con una serie di articoli. Soccombenti l’ex direttore Mario Giordano, i giornalisti Gian Mario Chiocci, Massimo Malpica e Felice Manti, oltre all’ex deputato Elio Veltri. Ma, al di là dei nomi, il punto è un altro. Le denunce penali e civili sono rischi del mestiere di giornalista e può capitare a tutti di incappare in una parola di troppo, un’inesattezza dovuta alla fretta, un eccesso di sintesi o di critica, insomma in un errore in buona fede. Qui invece i giudici hanno accertato un modus operandi di assoluta malafede: quello delle sistematiche campagne diffamatorie di chi sa di avere le spalle coperte da un editore pronto a investire milioni di euro per screditare, sui giornali e le tv che controlla in conflitto d’interessi, i propri avversari politici. Qui non si parla di cronisti che sbagliano, ma di killer che mentono sapendo di mentire.

Nel primo articolo incriminato, pubblicato il 7 gennaio 2009, il Giornale sparava i titoloni cubitali "I trucchi di Di Pietro per sfuggire alle intercettazioni" e "Tonino eludeva le intercettazioni coi cellulari criptati dei suoi indagati. Oggi il leader Idv attacca ogni proposta di riforma del sistema, ma quando era magistrato usò schede protette intestate all’autista di Pacini Battaglia". In pratica, Di Pietro non teme le intercettazioni perché le elude con "trucchi" fin da quando "indossava la toga e indagava su Pacini Battaglia".

Tutto questo, secondo il Tribunale, è "palesemente inveritiero", una "falsa affermazione", e chi l’ha scritta non l’ha fatto involontariamente visto che cita la sentenza del Gip di Brescia che la smentiva per tabulas: "E’ stato accertato che il presunto utilizzo della scheda svizzera (febbraio-giugno 1995)...risale a epoca in cui è pacifico che Di Pietro non esercitava più le funzioni giudiziarie (dal 7 dicembre 1994)" . I giornalisti del Giornale erano a "sicura conoscenza" della falsità di quel che scrivevano, eppure l’hanno scritto lo stesso. Perciò Chiocci, Malpica e Giordano devono risarcire Di Pietro per 240 mila euro, fra danni morali e riparazione pecuniaria.
La seconda sentenza riguarda ancora Giordano e Chiocci per un altro titolone in prima pagina: "L’Italia dei Valori. Immobiliari. Di Pietro ha investito quattro milioni di euro in case. Ecco il suo patrimonio", seguito da due pagine intitolate: "Di Pietro gioca a Monopoli: ha case in tutt’Italia. Ma è giallo sui suoi conti. Montenero, Bergamo, Milano, Roma e Bruxelles: l’ex pm ha speso 4 milioni di euro tra il 2002 e il 2008, ma non è chiaro con quali soldi abbia acquistato ville e appartamenti". Il teorema è noto: Di Pietro compra case con fondi misteriosi, forse quelli del partito. “Il postulato di fondo” – riassume il giudice – è “la presunta commistione tra il patrimonio immobiliare personale di Di Pietro e quello del partito IdV...commistione che – nonostante l’archiviazione del procedimento penale che si è occupato della questione – viene comunque prospettata quale congettura sottesa agli interrogativi del giornalista, all’evidente scopo di screditare la credibilità e l’immagine del leader".

Anche qui non c’è ombra di buona fede: c’è la solita campagna di balle orchestrate ad arte. La sentenza parla di "volute inesattezze e reticenze, così da accreditare la tesi del giornalista che, interrogandosi sulle proprietà immobiliari di Di Pietro e dei suoi familiari (‘Ma quante case ha l’onorevole Di Pietro? E con quali soldi le ha comprate?’) in rapporto ai redditi dallo stesso dichiarati ed al patrimonio della società immobiliare di sua proprietà (l’An.to.cri, ndr)… senza affermarlo espressamente, intende chiaramente alimentare il dubbio che gli acquisti siano frutto di un illecito storno per fini privati dei fondi del partito e, quindi, anche dei finanziamenti pubblici allo stesso destinati in relazione ai rimborsi elettorali". Anche qui il giornalista sa benissimo che quel che scrive è falso, visto che cita la denuncia di un ex dipietrista, tale Mario Di Domenico, contro Di Pietro. Denuncia archiviata dal gip di Roma perché "anche in punto di fatto, prima ancora che nella loro rilevanza giuridica, i sospetti avanzati in merito alle citate operazioni dell’avv. Di Domenico sono risultati infondati". Ma il Giornale si guarda bene dal riportare quelle parole: "Dall’autore dell’articolo...vengono artatamente sottaciute le motivazioni poste alla base del provvedimento di archiviazione" con uno "scopo evidente": "Ove le ragioni delle concordi determinazioni della Procura e del Gip fossero state riportate (sia pure in sintesi), i dubbi instillati dal giornalista sarebbero risultati non più che mere congetture, prive di concreti riscontri. E invece, espungendo le motivazioni del provvedimento, il lettore (non altrimenti informato) resta confuso, nell’apprendere che, a fronte delle pesanti accuse mosse a Di Pietro dall’avv. Di Domenico circa l’illecito utilizzo di fondi del partito per l’acquisto di appartamenti, ‘la procura capitolina’ avrebbe ‘stigmatizzato’ il comportamento di ‘Tonino’…In realtà la procura non ha affatto ‘stigmatizzato’ il comportamento" di Di Pietro e il gip ha ritenuto "infondati i sospetti avanzati dal querelante, non essendo in alcun modo emerso che Di Pietro ebbe a trarre personale vantaggio dalle operazioni ai danni del partito”. Insomma il Giornale ha ancora una volta, "volutamente" e "capziosamente", "travisato i fatti a discapito del principio di verità della notizia". E lo stesso ha fatto a proposito dell’annosa querelle fra Idv e "Il Cantiere" di Occhetto e Veltri per i rimborsi elettorali delle Europee 2004: "L’autore distorce ancora una volta le informazioni”, evita accuratamente di ricordare che il gip di Roma ha “confermato la sostanziale correttezza delle determinazioni assunte dalla Camera nell’individuazione dell’Idv quale unico soggetto legittimato alla percezione dei rimborsi…Informazioni intenzionalmente tralasciate per poter affermare che la Camera avrebbe erogato i rimborsi all’Idv ‘senza operare alcun controllo’, dando così al pubblico un’informazione palesemente falsa".

Anche questi articoli sono "diffamatori e lesivi della reputazione" di Di Pietro, che va risarcito con altri 60 mila euro. La terza sentenza riguarda un’intervista di Felice Manti a Veltri. Il Giornale la titolò così: "Vi racconto i maneggi del mio ex amico Di Pietro. Quando tesserò 241 criminali". Tutto diffamatorio fin dal titolo, per giunta manipolato per forzare ulteriormente il pensiero di Veltri, a cui l’autore attribuisce una frase mai pronunciata ("Di Pietro iscrisse ai Democratici per Prodi l’intera via della malavita di Cosenza"). Ma il giudice ne ha ritenuta diffamatoria anche una effettivamente pronunciata, "laddove Veltri ha dichiarato che i soldi del finanziamento pubblico non vanno al partito, bensì personalmente a Di Pietro, a Susanna Mazzoleni (la moglie, ndr) e a Silvana Mura (la tesoriera Idv, ndr) e ha dichiarato che un’ordinanza del Tribunale di Roma avrebbe affermato che i finanziamenti non possono andare all’associazione" omonima al partito Idv. Ora, "l’ordinanza del Tribunale di Roma non reca una siffatta affermazione", anzi dice che "il finanziamento pubblico va all’associazione IdV e il Tribunale di Roma non ha ritenuto illegittima tale condotta… circostanza di cui Veltri era a conoscenza": l’ordinanza l’ha prodotta lui al giudice di Monza.

Dunque la notizia pubblicata dal Giornale "non è oggettivamente vera" e ha "leso la reputazione e l’immagine dell’on. Di Pietro", che va risarcito con 44 mila euro. Che, aggiunti agli altri risarcimenti, fanno 344 mila euro: quanto basta per comprare un’altra casa a spese della famiglia Berlusconi.


Da il Fatto Quotidiano del 22 aprile





mercoledì 21 aprile 2010

Bossi jr: "Al Mondiale non tifo Italia". «Il tricolore? Identifica un sentimento di cinquant'anni fa». Le frasi del "delfino" scatenano un putiferio.




MILANO - «No, non tifo Italia al Mondiale in Sudafrica. Il tricolore? Identifica un sentimento di cinquant'anni fa». Le dichiarazioni di Renzo Bossi, figlio del Senatùr entrato ufficialmente in politica dopo le ultime elezioni regionali, hanno scatenato un putiferio. Il mondo del calcio, e non solo, ha reagito scandalizzato. Gigi Riva, team manager della Nazionale azzurra l'ha definita «un'affermazione stupida e grave»: «Se non sta bene può anche andarsene dall'Italia, nessuno ne farà una malattia». Ma non è un fulmine a ciel sereno, visto che non più tardi di un mese fa, quando impazzava il tormentone Balotelli-Mourinho, il "delfino" del Senatùr se ne uscì dicendo: «Non prendo neanche in considerazione l'esistenza della Nazionale di calcio italiana. Non la seguo, non so in che competizioni sia impegnata e non so nemmeno chi sia questo Balotelli. Per me esiste solo una Nazionale, ed è quella della Padania». Bossi jr mise allora in un qualche imbarazzo la Lega, che invece faceva quadrato per Balotelli e a favore di una nazionale multietnica.
Che dire.....non sarebbe una grave perdita.

domenica 18 aprile 2010

Lettera di Roberto Saviano a Silvio Berlusconi







Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di “supporto promozionale alle cosche”. Non sono accuse nuove.

Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d’Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt’ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare.

Perché per lei è meglio non dire? E’ meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un’espressione ancor prima di divenire il nome di un’organizzazione.


Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?

Il ruolo della ‘ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è determinato dal suo volume d’affari, cento miliardi di euro all’anno di profitto, un volume d’affari che supera di gran lunga le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con la loro parola? Perché?

Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che “era tutta colpa de Il Padrino” se in Sicilia venivano istruiti processi contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica.

Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi, è in quell’istante che sta chiamando un intervento di tutti, un impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti ai lavori e cronisti di nera.

Le ricordo le parole di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima che lui stesso fosse ammazzato. “La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere … non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità.

Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale dà al lavoro dei giudici, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze”.

Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri. Ma non è così. E’ mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito perché è stata accesa la luce sull’organizzazione dei casalesi prima nota solo agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti.


Eppure la sua non è un’accusa nuova. Anche molte personalità del centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità, che la mia era semplicemente un insana voglia di apparire.


Quando c’è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l’allarme? Guardando a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante pensare che il silenzio sia l’unica strada raccomandabile.

Eppure, Presidente, avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l’impegno antimafia degli italiani. Avrebbe potuto raccontare che l’Italia è il paese con la migliore legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani offriamo il know how dell’antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei sistemi finanziari ed economici dell’occidente e oggi gli esperti italiani vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le organizzazioni criminali di ogni genealogia.

E’ drammatico, e ne siamo consapevoli in molti, essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio che mostriamo di essere diversi e migliori.

Diffondendo il valore della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della forza dell’accusa, possiamo cambiare le cose.

Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l’immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per innescare il cambiamento.

Questa è l’unica strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan. Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un movimento culturale e morale al quale aspirare.

Io continuerò a parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori,

Presidente: molti di loro, credo, saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole.

Chiedo ai suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a smentirle.

E’ l’unico modo per ridare la giusta direzione alla lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me, che ormai ci sono abituato, ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti raccontando.

Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato.

La cosa che farò sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall’accusa di essere editor, uffici
stampa, dirigenti, “comprati”. E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E’ da loro che voglio risposte.

Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire.

Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possibilità di una Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare.

Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta.

di ROBERTO SAVIANO da repubblica.it

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venerdì 16 aprile 2010

Non se ne può più




Il presidente del Consiglio, oggi in sala stampa, con al suo fianco i Ministri degli interni Roberto Maroni e della Giustizia Angelino Alfano riguardo la Mafia ha dichiarato: « ha goduto per anni di un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un fatto di giudizio molto negativo per il nostro Paese, le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra di Roberto Saviano e tutto il resto»

Dimentica che La piovra è roba di tanti anni fa, mentre le fiction tv più recenti sulla mafia, da Il capo dei capi a quelle su Falcone e Borsellino, le ha fatte suo figlio per Mediaset.


Dure le reazioni di Antonio Di pietro:

Berlusconi chieda scusa a Saviano che rischia la vita per le sue denunce. E chieda scusa anche a tutti quegli operatori di giustizia che, nonostante le minacce in stile mafioso fatte dal Presidente del Consiglio, hanno ancora oggi il coraggio di tenere alto il senso dello Stato e delle istituzioni.

Tra l’altro è singolare che Berlusconi parli di successi del Governo nella lotta alla criminalità nel giorno in cui è stata chiesta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo luogotenente Marcello Dell’Utri.

Infatti, se fosse stato realmente interessato alla lotta alla mafia, non lo avrebbe candidato per assicurargli l’impunità. Così come non avrebbe dovuto impedire l’arresto del suo sottosegretario Nicola Cosentino. Berlusconi, quando parla di lotta alla criminalità, farebbe bene a guardarsi allo specchio e darsi una ripulita.

Tre scrittori impegnati Rushdie, Grossman e Englander, a fianco di Saviano.

David Grossman: "Un capo di Stato non può fare dichiarazioni così irresponsabili"

Salman Rushdie parla di "disgrazia per l'Italia" "Sono indignato per la dichiarazione di Berlusconi su Saviano. Considero la sua testimonianza importante ed estremamente coraggiosa".

Englander : "Un paese in cui si attaccano gli scrittori e la letteratura è considerata qualcosa di sovversivo è profondamente malsano”

Noi ci appelliamo ai lenolesi che lo votano, a quelli che non capiscono o fanno finta di non capire dove finiscono i voti dati agli amici e li invitiamo a prendere in considerazione le parole della signora Veronica Lario che sicuramente meglio di noi conosce questo fenomeno:

“Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene”


Noi di “lenolaidv” siamo con Roberto Saviano non con Berlusconi e Dell’Utri che oggi, intervistato dagli inviati della RAI, con la massima disinvoltura, come se niente fosse, ha affermato di essere in politica per sfuggire ai processi.

mercoledì 14 aprile 2010

Approvazione Bilancio Comune di Lenola.





Ieri, perchè siamo circa 5 minuti dopo la mezzanotte, il Consiglio Comunale di Lenola si è riunito, tra gli ordini del giorno, il più importante è stato l’approvazione del Bilancio Comunale.

(favorevole tutto il Gruppo di Maggioranza, contrario il Gruppo di Minoranza ad eccezione del Consigliere Lauretti che ha deciso di astenersi)

L’Assessore preposto, dopo aver lui stesso rilevato l’impossibilità di fare meglio, causa una serie di provvedimenti legislativi che di fatto hanno impoverito i Comuni, associati anche a ritardi e inadempienze da accreditare alla Regione e alla Provincia, nel rassegnato pessimismo che regnava nella'aula consiliare, ha presentato dati di bilancio a mio avviso quasi catastrofici.

UN BILANCIO CHE NON PREVEDE INVESTIMENTI SIGNIFICATIVI DAL QUALE EMERGE, SEMPRE A MIO AVVISO, LA DIFFICOLTÀ DI RISPETTARE ANCHE GLI IMPEGNI ECONOMICI GIÀ ASSUNTI E CHE SICURAMENTE RENDERÀ COMPLESSO ANCHE IL MANTENIMENTO DELL’ATTUALE CONTESTO OCCUPAZIONALE.

Il Gruppo di Minoranza Consiliare di Centro Sinistra, pur riconoscendo l’inevitabile impoverimento economico dovuto dai continui tagli di questo governo ha evidenziato alcuni fattori di sperpero tipo: il mutuo acceso per restaurare l’ennesima volta il Miracolle, il mutuo per il campo di calcio di Vallebernardo, l’uso non proficuo del Centro Studi, la gara “a rialzo” per la mensa dell’asilo, i costi della politica a partire dallo stipendio degli Assessori (cento euro mensili)

Inoltre, come me, non rileva, nel bilancio, ne quegli elementi necessari al recupero economico (riconducibile chiaramente a tasse non applicate, seconde case, passi carrabili, stalle pascoli ecc. ) ne investimenti, neppure minimi, da destinare a nuovi progetti di sviluppo.

Curiosa appare la posizione del PDL “muta” nel Gruppo di Maggioranza divisa nel Gruppo di Minoranza, LASCIATEMI PASSARE LA VENA POLEMICA praticamente:

IN PRIMO LUOGO lasciano intendere che la maggior parte dei problemi vanno ricondotti alla passata gestione della Regione Lazio come se i tagli ai comuni derivassero dalla Regione e non dal Governo, non consapevoli che questo bluff può durare qualche mese perché poi dovranno rendere conto ai cittadini visto che amministrano governo, regione e provincia;

IN SECONDO LUOGO rimproverano all’attuale amministrazione futili negligenze che appaiono più come diatribe personali che come analisi politico economiche.

La vedo proprio male……………prepariamoci al peggio: nessuna idea, nessuna proposta, nessun progetto solo la consapevolezza quasi collettiva di un futuro tutt’altro che allegro.




lunedì 12 aprile 2010

Romano Prodi: "Azzerare per Rinascere"





I lettori mi perdoneranno se, di fronte all’ennesima discussione sulla riforma del Partito democratico, mi permetto di riprendere, con solo qualche aggiornamento, le proposte che, meno di un anno fa, ho fatto sulle colonne di questo stesso giornale. Il rumoroso dibattito post-elettorale sul ruolo dei partiti politici e sul loro rapporto con i cittadini mi riporta infatti indietro di qualche decennio quando, di fronte all’irreversibile crisi della Democrazia cristiana, proposi di costruire il partito su base strettamente regionale ma con un forte patto federativo nazionale. In poche parole si sarebbe dovuto dare vita al Partito popolare lombardo, emiliano, laziale o siciliano ma tutti questi partiti sarebbero stati obbligatoriamente federati alla Democrazia cristiana italiana. Non se ne fece nulla perché gli avvenimenti presero la mano prima ancora che il dibattito potesse essere nemmeno iniziato. E forse non sarebbe comunque iniziato.

Mi sembra oggi utile per il Partito democratico dare spazio a questo dibattito che si è finalmente riaperto. Il risultato delle elezioni è stato infatti inferiore alle attese e la comune interpretazione di questo risultato è che la struttura del partito stesso sia diventata fortemente autoreferenziale, con rapporti troppo deboli con il territorio e con i problemi quotidiani degli italiani, messi in secondo piano dai ristretti obiettivi dei dirigenti e delle correnti.

Per questo motivo sento che sia opportuno ritornare su quella vecchia idea. Gli iscritti al Partito democratico di ogni regione italiana dovrebbero cioè eleggere, naturalmente tramite le primarie, il proprio segretario regionale. L’esecutivo nazionale dovrebbe essere semplicemente formato dai venti segretari regionali, avendo il coraggio di cancellare gli organi nazionali che si sono dimostrati inefficaci. A questi venti “uomini forti” dovrebbe essere demandato il compito di eleggere il segretario nazionale, di decidere sulle grandi strategie politiche del partito e, naturalmente insieme agli organi regionali, le candidature per le rappresentanze parlamentari. La forza dei segretari regionali dovrebbe essere ponderata non in base agli iscritti ma in base ai voti riportati alle elezioni politiche, perché il raccolto di un partito non si basa sulle tessere ma sui voti.

Penso quindi a un esecutivo del partito formato esclusivamente dai segretari regionali, senza le infinite code di benemeriti e aventi diritto, compresi gli ex segretari del partito e gli ex presidenti del Consiglio. La politica del partito deve essere infatti esclusivamente decisa da coloro che, essendo scelti tramite elezione, rispondono direttamente alla base del partito.

È evidente che tutto questo corrisponde alla necessità di un serio federalismo nel quale Nord e Sud siano correttamente rappresentati e in cui si discuta in modo chiaro e definitivo la linea da seguire oggi in Parlamento e, domani, al governo.

Se si pensa in modo coerente ad un’Italia federale, questo federalismo deve infatti partire dai partiti che, nonostante la generale crisi in cui versano, sono anche oggi l’insostituibile fondamento di ogni sistema democratico.

Questa riflessione sul federalismo non vale naturalmente solo per il Partito democratico: ritengo infatti che nessuna grande decisione sul futuro del Paese possa essere presa senza che ad essa partecipino in modo determinante i rappresentanti di tutte le regioni italiane. Ritengo però che sia ancora più necessaria per il Partito democratico che, per completare le fusione delle radici storiche che lo compongono, ha più degli altri bisogno di rinnovare i modelli di reclutamento della sua classe dirigente e di costruire un luogo in cui le decisioni prese non possano più essere messe in discussione. Non si può infatti continuare con dibattiti senza fine nei quali si ritorna sempre al punto di partenza e ogni decisione viene sentita come provvisoria, per cui, ad esempio, dopo avere optato per il cancellierato si ritorna al presidenzialismo e dal presidenzialismo si finisce con la scelta di non cambiare nulla, senza che si capisca come e da chi tutto questo venga deciso. La trasparenza esige che ci sia una sede in cui si discuta in modo aperto e si decida la linea del partito senza che essa possa essere messa in discussione da interviste o dichiarazioni di leader o di notabili.

Certamente questo implica un cambiamento radicale della vita del partito e della formazione della sua classe dirigente e accentra sui venti segretari regionali poteri e responsabilità alle quali il Partito democratico non è familiare. Questo mi sembra tuttavia l’unica soluzione per fare funzionare un partito in modo trasparente ed efficiente in un momento in cui tutti dicono di volere il federalismo ma in cui nessuno lo vuole costruire in modo democratico e rispettoso delle esigenze di tutto il Paese.

Naturalmente tutto questo può funzionare solo se si impongono durissime regole di pulizia e di trasparenza nelle procedure di tesseramento. Tutto questo potrebbe sembrare una banalità ma, a oltre 60 anni dall’approvazione della Costituzione non si è ancora dato concreta realizzazione all’art. 49, che dice con estrema chiarezza che i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere “con metodo democratico” a determinare la politica nazionale. Cominci quindi il Partito democratico a volere l’attuazione di questo articolo, se non altro perché i suoi elettori sono più vigili di tutti gli altri quando si tratta di trasparenza e di democrazia. Questo non è un vizio ma una virtù.

Mi accorgo che queste osservazioni sono guidate dall’astrattezza di chi è ormai fuori dalla politica. Esse mi sembrano tuttavia utili per spingere all’approfondimento di un indispensabile dibattito.

Romano Prodi

Fonte: Ilmessaggero.it





sabato 10 aprile 2010




I DESTINI DELLA NAZIONE SI DECIDONO ORMAI AD ARCORE TRA UN PREMIER INTERESSATO SOLO ALLA GIUSTIZIA E UN CONDANNATO DA TANGENTOPOLI CHE SI PORTA DIETRO IL FIGLIO DISOCCUPATO … L’ITALIA DIVENTERA’ UNA “ESPRESSIONE GEOGRAFICA” A TUTTO VANTAGGIO DELLE FAMELICHE TRUPPE PADANE INTERESSATE SOLO AL CORTILE DI CASA E AI QUATTRINI…DOV’E’ FINITA LA VERA DESTRA?

Probabilmente quando Berlusconi decise di allearsi con Bossi (ai tempi, per capirci, in cui il senatur si era trovato anche la casa pignorata, dopo la condanna a risarcire il magistrato Papalia per 400 milioni di lire), pensava di farlo da una posizione dominante: credeva di aver stipulato forse un atto d’acquisto di una ditta in fallimento.

A distanza di anni si trova invece ad essere l’azionista di minoranza, ricattato ogni giorno dall’avidità leghista, persino nella sostituzione di un ministro dell’agricoltura.
L’accordo infatti prevedeva Galan al posto di Zaia, ma i leghisti, nonostante l’elezione anche di Cota, non intendevano mollare il ministero dove hanno fatto più marchette di una vecchia prostituta di strada.

Che Berlusconi non si fidi troppo del “fraterno amico” Bossi, lo dimostra peraltro la notizia che esisterebbe addirittura un atto notarile con l’impegno, firmato da Bossi, di cedere il ministero al Pdl, in caso della scontata vittoria di Zaia in Veneto.

E al rispetto della firma, più che alla lealtà alla parola data, ha dovuto appellarsi il premier l’altra sera, alla cena del caminetto ad Arcore, per averla vinta.

Bossi è una vita che ricorre all’arte dell’imbroglio, di cui si è dimostrato maestro in passato, tra ribaltoni e controribaltoni.
Da uno che usciva di casa, secondo la testimonianza della prima moglie, dicendo che andava a lavorare in ospedale, senza essere neanche medico, c’è da aspettarsi di tutto.

Ma che i destini di una nazione debbano essere decisi ad Arcore, invece che in Parlamento, durante le cene del lunedì in cui Bossi si presenta con la quinta colonna Tremonti, il dotto Calderoli, il fighetto Cota e ora pure col figlio ex disoccupato, ci pare troppo.

Anche per un premier a cui di riforme ne interessa solo una: quella che lo tolga dai guai con la giustizia, del resto sai che gliene frega.

Presidenzialismo alla francese o all’inglese, modello tedesco o americano, per lui va tutto bene: che gli altri facciano come gli pare, l’importante è trovare il modo di non presentarsi in tribunale e magari spianarsi la strada per un settennato al Quirinale che è sempre meglio del palazzo di Giustizia di Milano.
L’importante, dicono tutti, sono le riforme.

Non quelle che eliminino la corruzione nella pubblica amministrazione, non quelle antievasione, non la riduzione delle tasse, non la ristrutturazione degli ammortizzatori sociali, non riforme che diano fiato al’occupazione e una casa ai giovani, ma “il federalismo” e il “presidenzialismo”.

Due aspetti a cui all’italiano medio non frega ua mazza.
Il primo perchè finirà per far aumentare i balzelli locali, invece che razionalizzare la spesa, il secondo perchè non è certo un problema per cui l’italiano medio non dorme la notte.

Berlusconi tratta, media, firma accordi, trova intese “do ut des”, con un occhio di riguardo ai suoi interessi privati e giudiziari, la Lega pensa solo ad acquistare potere e poltrone.

Gli unici che lanciano l’allarme sono i finiani, a giorni alterni.Un giorno avallano in silenzio, l’altro ricordano “che non vogliono morire leghisti”, ricevendo il rimbrotto da un uomo corente del Pdl: Sandro Bondi, ex comunista.

Pensate se Fini non avesse fatto la cazzata, dettata dalla sua presunzione, di voler cambiare il Pdl dall’interno e di fondersi.
Pensate se An, invece che farlo diventare un partito morto, senza congressi e dibattito interno, in mano a tre caporalucci di giornata più che colonnelli, avesse continuato a fare politica sul territorio, sull’impostazione che ora Fini esprime da qualche mese.

Sarebbe un punto di riferimento vivo, militante, battagliero, in grado di contrastare, sul terreno culturale e politico, le mandrie leghiste.
Bilancerebbe il centrodestra, sarebbe per il Pdl una garanzia per non cedere all’arroganza della Lega, avendo un altro partito di uguale o maggiore consistenza che tira dall’altra parte.

Ne avrebbe giovato la coalizione e il Pdl stesso.Invece è stato sciolto per calcolo politico e persino localmente ora la sua classe dirigente viene estromessa dagli enti locali grazie al maggior peso nelle preferenze da parte dei forzaitalioti.

Ora che il danno è stato fatto, ora che i caporali di giornata hanno trovato il loro stipendio, emerge solo un dato: la destra vera, sociale, solidale, nazionale e popolare non c’è più.

E di questo Fini portera sulla coscienza la responsabilità.

Ha un solo modo per riscattarsi: impedire che l’Italia, come diceva Metternich e come vorrebbe la Lega, diventi una mera espressione geografica, senza consistenza reale, istituzionale, politica ed economica.
Con un Sud abbandonato a se stesso e un nord in balia degli egoismi e del razzismo dei predatori padani.

Che ha a che fare una destra che ha sempre avuto come riferimento l’unità nazionale, la legalità, la giustizia, l’ordine, la socialità, il rispetto delle regole, la solidarietà tra nord e sud del Paese, i valori etici, con questo comitato di affari senza anima e cuore, senza passione e umanità?

Dove si spaccia meritocrazia ma poi si sistemano i figli disoccupati, si invoca rigore morale e poi non si tagliano le inutili Province, si buttano a mare i profughi ma si ricevono a palazzo le escort?

Se Fini vuole davvero una svolta, non si perda con certi compagni di merende.
Saremo cresciuti a pane e marmellata, non saremo abituati ai salotti buoni, ma interpretiamo un vasto popolo di destra che non ha più punti di riferimento e che si è rotto i coglioni.


E siamo tanti a pensarla cosi. L’Italia merita un destra vera e moderna.
O sapranno interpretarla o saranno travolti.


Riccardo Fucile "destra di popolo"

mercoledì 7 aprile 2010





Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei singoli ministri a comparire in processo. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 febbraio scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Due gli articoli, che consentiranno «al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge»: l’articolo 2 riguarda il carattere di "legge ponte", cioè l’applicazione della nuova norma «fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale» e fissa inoltre l’entrata in vigore della nuova norma sul legittimo impedimento al giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il testo prevede che le attribuzioni previste dalla legge che disciplina l’attività di governo e della presidenza del Consiglio, dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, le relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque "coessenziale" alle funzioni di governo costituiscano legittimo impedimento per il premier a comparire alle udienze penali che lo vedono imputato (non a quelle in cui è parte offesa).

Stesso trattamento vale per i ministri. Sarà Palazzo Chigi ad autocertificare l’impedimento. «Ove la presidenza del Consiglio dei ministri - recita il testo - attesti che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo ad udienza successiva al periodo indicato. Ciascun rinvio non può essere superiore a sei mesi». Il corso della prescrizione rimane sospeso per l’intera durata del rinvio. La legge si applica anche «ai processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, alla data della entrata in vigore della legge».

Non può fare diversamente, se la rinviasse alle camere, gli verrebbe riproposta e poi dovrebbe comunque firmarla, ha ragione, domando: “ ma cosa sta a fare al Quirinale ? Basterebbe un monolocale a Tor Bella Monica o a Corviale”

sabato 3 aprile 2010

Per fortuna che è arrivata la Pasqua


Negli Italiani cresce l'insofferenza e l'indifferenza. Anche dopo le elezioni regionali, vinte da tutti, almeno a sentire i diretti interessati, si continua a leggere sui giornali e a sentire in tv ancora di litigi, di polemiche, di problemi personali, mentre la nostra ITALIA continua ad andare a rotoli. Abbiamo raggiunto il peggior rapporto deficit-pil degli ultimi 15 anni, con un -5,2%. L'avanzo primario è negativo per la prima volta dopo 20 anni...i dati sono dell'Istat. Per fortuna è arrivata la Pasqua,se non altro per prenderci un momento di riflessione e ricominciare a discutere su cosa è giusto dire.

Il gruppo IDV Lenola augura a tutti una serena Pasqua