
Ciò che mi scandalizza non è tanto lo show pittoresco di Gheddafi, che del resto rientra nel suo stile dittatoriale, anche se mi chiedo se simili grotteschi personaggi siano compatibili con una democrazia moderna. Ma in Italia sì, visto che la democrazia è ormai fatta a pezzi da politici che vorrebbero sempre più rassomigliare al fantoccio libico. Forse il loro cruccio è di non esserlo abbastanza.
Mi scandalizza invece che gli italiani subiscano nell’indifferenza simili pagliacciate.
E soprattutto mi meraviglia che la Lega che aspetta ogni opportunità per sparare sull’Islam tenga un atteggiamento di assoluto silenzio. Almeno finora. Vedremo se qualcuno avrà il coraggio di contestare il comportamento di Gheddafi.
Penso di no, conoscendo la codardìa dei Capi leghisti e la coglioneria dei leghisti.
Hanno troppo interesse a tacere.
Cioè hanno interessi da salvare.
Infine mi meraviglio che gli stessi islamici non se la prendano con questo strano e opportunista missionario dell’Islam che si compera le conversioni a suon di belle escort.
da Liberazione
Diritti umani in svendita
Fulvio Vassallo Paleologo*
A due anni dalla firma del Trattato di amicizia italo-libico Gheddafi ritorna a Roma per celebrare i "successi storici" della collaborazione con gli "amici" Berlusconi e Maroni. Un'amicizia, malgrado qualche recente crisi nella lotta sul controllo delle banche italiane, solidamente cementata da colossali interessi economici, dalla partecipazione di finanziarie libiche ai capitali di Fiat ed Unicredit, dalle commesse che le imprese italiane stanno ottenendo il Libia, come l'appalto assegnato a Finmeccanica per la costruzione di un sistema di controllo delle frontiere meridionali di quel paese. Nel corso degli anni è intanto aumentata la dipendenza dell'Italia dalla Libia per la fornitura di gas e petrolio, e questo sta consentendo a Gheddafi di fare la voce grossa non appena qualcuno tenta di aprire un dossier sui diritti umani e sulla situazione dei rifugiati. Del resto, per Berlusconi come per Gheddafi, in Libia, i rifugiati non esistono, sarebbero solo immigrati illegali o "ospiti temporanei", i richiedenti asilo sarebbero solo una invenzione delle organizzazioni umanitarie, che dunque vanno sanzionate perché svolgerebbero attività illegali, come è successo all'ACNUR a giugno, quando sono stati chiusi i suoi uffici a Tripoli. Intanto il ministro Maroni, per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica dagli autentici problemi della sicurezza, annuncia l'abbattimento del numero degli arrivi in Sicilia, mentre gli sbarchi sono ripresi in altre regioni meridionali, su altre rotte.
Il ministro leghista omette di ricordare che per gli arrivi degli scorsi anni si trattava in prevalenza di richiedenti asilo e di soggetti vulnerabili, qualche decina di migliaia di persone in fuga, mentre le norme del "pacchetto sicurezza" e l'inasprimento nella attuazione della Bossi-Fini stanno producendo centinaia di migliaia di irregolari, se non di "clandestini" veri e propri. E la nuova pulizia etnica ai danni dei rom, soprattutto se non appartenenti all'Unione Europea, aggiungerà nuova esclusione sociale ed emarginazione senza produrre alcun effetto positivo neppure per quegli stessi cittadini in cerca di sicurezza che oggi hanno individuato nei rom il nuovo "nemico interno". E adesso Maroni vorrebbe chiedere nuove norme più restrittive per i comunitari, proseguendo quella linea della "tolleranza zero" inaugurata con i respingimenti collettivi verso la Libia lo scorso anno, una politica che ha suscitato critiche anche a livello europeo. Le politiche italiane contro i migranti rischiano così di aprire contraddizioni gravissime in ambito comunitario, alimentando conflitti che non sarà possibile risolvere neppure nei prossimi decenni.
Il parlamento italiano con voto quasi unanime, lo scorso luglio, ha ratificato per tutto il 2010 le missioni in Libia della Guardia di Finanza, per la manutenzione dei mezzi militari messi a disposizione di quel paese e per la "formazione" ( o collaborazione?) delle forze di polizia, ulteriore tassello di quella sciagurata politica bipartisan che ha portato nel 2007 ai Protocolli operativi ( Amato) con la Libia, poi confermati nel 2008 dal Trattato di amicizia ed ulteriormente inaspriti da Maroni nel suo viaggio a Tripoli, subito dopo che il Parlamento Italiano aveva approvato gli accordi precedenti. Un vero colpo di mano, nel febbraio del 2009, all'insaputa di tutti, perché il Parlamento con una maggioranza larghissima aveva dato il via libera alla attuazione dei Protocolli che autorizzavano i pattugliamenti congiunti, ma non i respingimenti collettivi sistematicamente praticati dalle nostre unità navali proprio a partire dal 6 maggio del 2009, sui quali pende ancora il giudizio della Corte Europea dei diritti dell'Uomo. Sarebbe tempo che le forze politiche che oggi si vogliono definire di "opposizione" facciano un minimo di autocritica per la loro politica di intesa con la Libia, e si facciano sentire nei giorni in cui la presenza di Gheddafi a Roma offrirà a Berlusconi e Maroni l'occasione per imbastire un altra vergognosa campagna mediatica, sulla pelle dei migranti, come al solito. Forse Maroni ci racconterà ancora che la Libia, sebbene non aderisca alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, abbia sottoscritto comunque la Convenzione dell'Unione Africana che richiama quella Convenzione quanto al riconoscimento dei diritti dei rifugiati. Come l'Italia sta cercando di dimostrare davanti alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo dove è finita sul banco degli imputati per i respingimenti collettivi praticati lo scorso anno. Eppure basta verificare nei siti delle più importanti agenzie umanitarie Amnesty (www.amnesty.it) e Human Rigts Watch (www.hrw.org) la portata e la gravità delle violazioni dei diritti umani delle quali è responsabile la Libia con la complicità delle autorità italiane. Complicità che hanno consentito le violenze e gli abusi commessi dai libici ai danni dei migranti, inclusi giovani donne e minori . Per la unicità della catena di comando italo-libica che gestisce le operazioni di intercettazione e di respingimento nel Canale di Sicilia, prevista proprio dai Protocolli operativi "Amato" del 2007, poi recepiti nel Trattato di amicizia del 2008, queste responsabilità appartengono anche all'Italia e dovranno essere sanzionate al più presto dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo.
*Università di Palermo
29/08/2010
Ironia della storia. Il leader dell'ex colonia italiana fa shopping nel Belpaese
Libia-Italia affari incrociati
Gheddafi il colonizzatore
Simonetta Cossu
"It's the economy, stupid!" è la frase che rese celebre Bill Clinton nella sua corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Oggi, quando il colonnello Gheddafi atterrerà a Roma sarà bene che anche gli italiani se la ricordino: "È l'economia, stupido!" Forse andrebbe un po' adattata allo spirito di questo decennio che più di economia parla di affari.
La torta in gioco infatti in questo campo è bella ricca. Ettore Livini su Repubblica parla di un giro da 40miliardi di euro. "Un pirotecnico giro d'operazioni - si legge - gestite in prima persona dai due leader e da un piccolo esercito di fedelissimi ("gli imprenditori sono i soldati della nostra epoca", dice il Colonnello) che ha già mosso in 24 mesi quasi 40 miliardi di euro e che rischia di cambiare - non è difficile immaginare in che direzione - gli equilibri della finanza e dell'industria di casa nostra".
Allora incominciamo con vedere quali sono i settori interessati. Direttamente Mohamed e Silvio detengono quote nella Quinta Communications, società di produzione cinematografica di Tarak Ben Ammar, l'imprenditore franco-tunisino tra i principali fautori dell'asse Arcore-Tripoli. Spiccioli, in quanto i grossi affari sono di ben altra portata. L'Italia ha dimostrato di saper essere un mercato tra i più aperti, e spesso gli interessi stranieri si sono indirizzati verso società leader in settori strategici.
La Libyan investment Authority (Lia) è stata creata nel dicembre di tre anni fa con una dotazione di 50 miliardi di dollari di capitale. E Gheddafi ha sottolineato che il 90% degli investimenti libici all'estero avranno come destinazione privilegiata l'Italia. È da comprendere quindi il ricevimento in pompa magna da parte di Berlusconi. Solo quest'affermazione vale un fiume di denaro da 45 miliardi di dollari diretto sia verso le blu chip italiane che verso le pmi, tanto che Mediobanca ha un ruolo non secondario nell'indirizzare questi investimenti.
In cambio di questo fiume in entrata la Libia è pronta ad assicurare alle industrie italiane affari di non poco conto. Poco prima di firmare il trattato di accordo nel 2008, il segretario libico che lavorava alla stesura del trattato si presentò in Assolombarda a Milano per presentare il piano di investimenti previsti per modernizzare la Libia: 153 miliardi di dollari. Una cifra che fece cadere più di una mascella. Per questo il dossier Libia è su tutte le scrivanie che contano, non importa se sul lato della domanda o dell'offerta.
Oggi l'Italia è il primo partner commerciale per la Libia. Una posizione che vale 20 miliardi di euro nel 2008, in crescita del 27% sull'anno precedente.
Le imprese italiane sono già in Libia pronte a costruire strade e reti telefoniche. Da lì l'Eni, che è a Tripoli dal 1959 era Mattei, oggi ricava non meno di 250 mila barili di petrolio al giorno, il 30% delle importazioni italiane. E sempre dalla Libia arriva il 12& del gas importato. l'a.d. dell'Eni, Paolo Scaroni, solo pochi giorni fa ha detto di ritenere la Libia «come la pupilla dei miei occhi perchè con questo paese abbiamo relazioni importanti. Pensiamo che in Libia investiremo 25 miliardi di dollari». Scaroni ha aggiunto di considerare tutti i propri interlocutori «da Gheddafi a Chavez, tutti belli, bravi e buoni. Perché per me sono tutti clienti». Alla faccia dei diritti umani.
Così come la costruzione della mega-autostrada da tre miliardi di dollari che attraverserà il litorale libico dalla Tunisia all'Egitto, 1700 chilometri è parco gioco per le aziende italiane. Alla fase di prequalifica, secondo quanto risulta all'agenzia Radiocor, parteciperanno infatti la cordata formata da Impregilo e Cmc di Ravenna, il consorzio fra Astaldi, Toto, Grandi Lavori Fincosit e Ghella, il gruppo Condotte. Alla finestra al momento il gruppo Salini-Todini, Pizzarotti, Cmb di Carpi, il gruppo Gavio tramite Itinera e diverse realtà del mondo cooperativo. L'opera è infatti prevista dal trattato di amicizia siglato nel 2008 fra Berlusconi e Gheddafi.
Dulcis in fondo le banche. Il colonnello è riuscito in due anni a diventare il primo azionista della prima banca italiana (Unicredit) con una quota vicina al 7% (valore quasi 2,5 miliardi) e grazie allo storico 7,5% che controlla nella Juventus è il quinto singolo investitore per dimensioni a Piazza Affari. Le finanziarie di Tripoli hanno studiato il dossier Telecom, puntano a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali. Palazzo Grazioli, nell'ambito del do ut des di questa realpolitik mediterranea, ha dato l'ok all'ingresso di Tripoli con l'1% nell'Eni ("puntiamo al 5-10%", ha precisato l'ambasciatore Hafed Gaddur). E la Libia ha allungato di 25 anni le concessioni del cane a sei zampe in cambio di 28 miliardi di investimenti. Un patto quello con la Libia che Berlusconi riassume così: «scuse e risarcimenti contro meno clandestini e più gas e petrolio».
29/08/2010
"I profughi": «E i nostri risarcimenti?»
«Ancora non abbiamo visto un euro». In vista dell'arrivo in Italia del leader libico, protesta la presidente dell'Airl, l'associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia, Giovanna Ortu. «Il governo Berlusconi - spiega - non ha firmato il decreto attuativo della legge del febbraio 2009 di ratifica del trattato fra Italia e Libia dell'agosto 2008, con la quale si stanziavano 150 milioni di euro per tre anni - 2009, 2010, 2011 - quale risarcimento ai privati per i beni confiscati quarant'anni fa. In media, circa 8.000 euro a persona». In "compenso", alla presidente dell'Airl è arrivato l'invito firmato Berlusconi per assistere domani assieme al premier e al colonnello Gheddafi alla kermesse di equitazione. «Andrò volentieri alla manifestazione, ma non vorrei - ironizza Ortu - che fosse un invito indiretto a darci all'ippica...».
dal sito Giornalismo partecipativo
Povere ragazze italiane
Nell’Italia del 2010 un’agenzia non ha difficoltà a reclutare 500 giovani italiane, rigorosamente piacenti, ben vestite e alte (dicono) almeno 170 centimetri, retribuendole 60 Euro (lordi? netti?) per presentarsi a mezzogiorno e restare disponibili per un tempo presumibile di sei-otto ore.
Il tema della disponibilità di queste ragazze, che si rendono complici del governo nell’ignorare le violazioni dei diritti umani in Libia che non possono far finta di ignorare, va al di là del ridicolo teatrino messo in piedi da Silvio Berlusconi per onorare il colonnello Gheddafi, che si deve essere divertito molto con il suo farsesco sermone sull’islam con il dettaglio della millantata conversione all’Islam di tre delle hostess reclutate e del dibattito sulla necessità di tali prestazioni per favorire le relazioni diplomatiche ed economiche Italia-Libia.
L’aspetto della disponibilità di queste 500 ragazze (quante altre si saranno candidate per essere scartate?) presumibilmente di classe media, sufficientemente raffinate ed educate da essere selezionate, che non avevano di meglio da fare tanto da essere disposte a perdere un pomeriggio domenicale per un compenso orario di 7-8 Euro (lordi?), è l’ennesimo sintomo preoccupante del declino economico ma anche sociale e culturale del paese.
Sessant’anni fa ci vollero vent’anni di fascismo e una guerra distruttiva che portò il paese alla fame per rendere migliaia di povere ragazze italiane disposte a compiacere gli “ospiti” stranieri per un pezzo di pane. Certo, non siamo per fortuna ancora al livello dei tempi della guerra, ma trent’anni di guerra della televisione commerciale contro la cultura e trent’anni di guerra neoliberale contro la dignità del lavoro non staranno facendo tornare sull’Italia i tempi di Tammurriata Nera?
Gennaro Carotenuto
Fonte:http://www.dongiorgio.it/pagine.php?id=2212
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