Campodimele (LT) il paese della longevità

Campodimele  (LT)  il paese della  longevità
Tra l'indifferenza dell' Amministrazione Comunale, in assenza di controlli, In località Sterza Piana Lenola (LT) ai confini del Parco Naturale dei Monti Aurunci , a meno di trecento metri dalle abitazioni private, i cittadini, tutti i giorni, assistono a questo scempio che rende l'aria irrespirabile con inevitabili conseguenze sulla salute pubblica grazie a questo impianto allocato nel confinante comune di Campodimele

martedì 31 agosto 2010

Gheddafi fa il missionario dell’Islam profanando il Corano tra belle escort e affari




Ciò che mi scandalizza non è tanto lo show pittoresco di Gheddafi, che del resto rientra nel suo stile dittatoriale, anche se mi chiedo se simili grotteschi personaggi siano compatibili con una democrazia moderna. Ma in Italia sì, visto che la democrazia è ormai fatta a pezzi da politici che vorrebbero sempre più rassomigliare al fantoccio libico. Forse il loro cruccio è di non esserlo abbastanza.
Mi scandalizza invece che gli italiani subiscano nell’indifferenza simili pagliacciate.
E soprattutto mi meraviglia che la Lega che aspetta ogni opportunità per sparare sull’Islam tenga un atteggiamento di assoluto silenzio. Almeno finora. Vedremo se qualcuno avrà il coraggio di contestare il comportamento di Gheddafi.
Penso di no, conoscendo la codardìa dei Capi leghisti e la coglioneria dei leghisti.
Hanno troppo interesse a tacere.
Cioè hanno interessi da salvare.
Infine mi meraviglio che gli stessi islamici non se la prendano con questo strano e opportunista missionario dell’Islam che si compera le conversioni a suon di belle escort.


da Liberazione

Diritti umani in svendita

Fulvio Vassallo Paleologo*


A due anni dalla firma del Trattato di amicizia italo-libico Gheddafi ritorna a Roma per celebrare i "successi storici" della collaborazione con gli "amici" Berlusconi e Maroni. Un'amicizia, malgrado qualche recente crisi nella lotta sul controllo delle banche italiane, solidamente cementata da colossali interessi economici, dalla partecipazione di finanziarie libiche ai capitali di Fiat ed Unicredit, dalle commesse che le imprese italiane stanno ottenendo il Libia, come l'appalto assegnato a Finmeccanica per la costruzione di un sistema di controllo delle frontiere meridionali di quel paese. Nel corso degli anni è intanto aumentata la dipendenza dell'Italia dalla Libia per la fornitura di gas e petrolio, e questo sta consentendo a Gheddafi di fare la voce grossa non appena qualcuno tenta di aprire un dossier sui diritti umani e sulla situazione dei rifugiati. Del resto, per Berlusconi come per Gheddafi, in Libia, i rifugiati non esistono, sarebbero solo immigrati illegali o "ospiti temporanei", i richiedenti asilo sarebbero solo una invenzione delle organizzazioni umanitarie, che dunque vanno sanzionate perché svolgerebbero attività illegali, come è successo all'ACNUR a giugno, quando sono stati chiusi i suoi uffici a Tripoli. Intanto il ministro Maroni, per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica dagli autentici problemi della sicurezza, annuncia l'abbattimento del numero degli arrivi in Sicilia, mentre gli sbarchi sono ripresi in altre regioni meridionali, su altre rotte.
Il ministro leghista omette di ricordare che per gli arrivi degli scorsi anni si trattava in prevalenza di richiedenti asilo e di soggetti vulnerabili, qualche decina di migliaia di persone in fuga, mentre le norme del "pacchetto sicurezza" e l'inasprimento nella attuazione della Bossi-Fini stanno producendo centinaia di migliaia di irregolari, se non di "clandestini" veri e propri. E la nuova pulizia etnica ai danni dei rom, soprattutto se non appartenenti all'Unione Europea, aggiungerà nuova esclusione sociale ed emarginazione senza produrre alcun effetto positivo neppure per quegli stessi cittadini in cerca di sicurezza che oggi hanno individuato nei rom il nuovo "nemico interno". E adesso Maroni vorrebbe chiedere nuove norme più restrittive per i comunitari, proseguendo quella linea della "tolleranza zero" inaugurata con i respingimenti collettivi verso la Libia lo scorso anno, una politica che ha suscitato critiche anche a livello europeo. Le politiche italiane contro i migranti rischiano così di aprire contraddizioni gravissime in ambito comunitario, alimentando conflitti che non sarà possibile risolvere neppure nei prossimi decenni.
Il parlamento italiano con voto quasi unanime, lo scorso luglio, ha ratificato per tutto il 2010 le missioni in Libia della Guardia di Finanza, per la manutenzione dei mezzi militari messi a disposizione di quel paese e per la "formazione" ( o collaborazione?) delle forze di polizia, ulteriore tassello di quella sciagurata politica bipartisan che ha portato nel 2007 ai Protocolli operativi ( Amato) con la Libia, poi confermati nel 2008 dal Trattato di amicizia ed ulteriormente inaspriti da Maroni nel suo viaggio a Tripoli, subito dopo che il Parlamento Italiano aveva approvato gli accordi precedenti. Un vero colpo di mano, nel febbraio del 2009, all'insaputa di tutti, perché il Parlamento con una maggioranza larghissima aveva dato il via libera alla attuazione dei Protocolli che autorizzavano i pattugliamenti congiunti, ma non i respingimenti collettivi sistematicamente praticati dalle nostre unità navali proprio a partire dal 6 maggio del 2009, sui quali pende ancora il giudizio della Corte Europea dei diritti dell'Uomo. Sarebbe tempo che le forze politiche che oggi si vogliono definire di "opposizione" facciano un minimo di autocritica per la loro politica di intesa con la Libia, e si facciano sentire nei giorni in cui la presenza di Gheddafi a Roma offrirà a Berlusconi e Maroni l'occasione per imbastire un altra vergognosa campagna mediatica, sulla pelle dei migranti, come al solito. Forse Maroni ci racconterà ancora che la Libia, sebbene non aderisca alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, abbia sottoscritto comunque la Convenzione dell'Unione Africana che richiama quella Convenzione quanto al riconoscimento dei diritti dei rifugiati. Come l'Italia sta cercando di dimostrare davanti alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo dove è finita sul banco degli imputati per i respingimenti collettivi praticati lo scorso anno. Eppure basta verificare nei siti delle più importanti agenzie umanitarie Amnesty (www.amnesty.it) e Human Rigts Watch (www.hrw.org) la portata e la gravità delle violazioni dei diritti umani delle quali è responsabile la Libia con la complicità delle autorità italiane. Complicità che hanno consentito le violenze e gli abusi commessi dai libici ai danni dei migranti, inclusi giovani donne e minori . Per la unicità della catena di comando italo-libica che gestisce le operazioni di intercettazione e di respingimento nel Canale di Sicilia, prevista proprio dai Protocolli operativi "Amato" del 2007, poi recepiti nel Trattato di amicizia del 2008, queste responsabilità appartengono anche all'Italia e dovranno essere sanzionate al più presto dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo.
*Università di Palermo

29/08/2010


Ironia della storia. Il leader dell'ex colonia italiana fa shopping nel Belpaese

Libia-Italia affari incrociati
Gheddafi il colonizzatore

Simonetta Cossu


"It's the economy, stupid!" è la frase che rese celebre Bill Clinton nella sua corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Oggi, quando il colonnello Gheddafi atterrerà a Roma sarà bene che anche gli italiani se la ricordino: "È l'economia, stupido!" Forse andrebbe un po' adattata allo spirito di questo decennio che più di economia parla di affari.
La torta in gioco infatti in questo campo è bella ricca. Ettore Livini su Repubblica parla di un giro da 40miliardi di euro. "Un pirotecnico giro d'operazioni - si legge - gestite in prima persona dai due leader e da un piccolo esercito di fedelissimi ("gli imprenditori sono i soldati della nostra epoca", dice il Colonnello) che ha già mosso in 24 mesi quasi 40 miliardi di euro e che rischia di cambiare - non è difficile immaginare in che direzione - gli equilibri della finanza e dell'industria di casa nostra".
Allora incominciamo con vedere quali sono i settori interessati. Direttamente Mohamed e Silvio detengono quote nella Quinta Communications, società di produzione cinematografica di Tarak Ben Ammar, l'imprenditore franco-tunisino tra i principali fautori dell'asse Arcore-Tripoli. Spiccioli, in quanto i grossi affari sono di ben altra portata. L'Italia ha dimostrato di saper essere un mercato tra i più aperti, e spesso gli interessi stranieri si sono indirizzati verso società leader in settori strategici.
La Libyan investment Authority (Lia) è stata creata nel dicembre di tre anni fa con una dotazione di 50 miliardi di dollari di capitale. E Gheddafi ha sottolineato che il 90% degli investimenti libici all'estero avranno come destinazione privilegiata l'Italia. È da comprendere quindi il ricevimento in pompa magna da parte di Berlusconi. Solo quest'affermazione vale un fiume di denaro da 45 miliardi di dollari diretto sia verso le blu chip italiane che verso le pmi, tanto che Mediobanca ha un ruolo non secondario nell'indirizzare questi investimenti.
In cambio di questo fiume in entrata la Libia è pronta ad assicurare alle industrie italiane affari di non poco conto. Poco prima di firmare il trattato di accordo nel 2008, il segretario libico che lavorava alla stesura del trattato si presentò in Assolombarda a Milano per presentare il piano di investimenti previsti per modernizzare la Libia: 153 miliardi di dollari. Una cifra che fece cadere più di una mascella. Per questo il dossier Libia è su tutte le scrivanie che contano, non importa se sul lato della domanda o dell'offerta.
Oggi l'Italia è il primo partner commerciale per la Libia. Una posizione che vale 20 miliardi di euro nel 2008, in crescita del 27% sull'anno precedente.
Le imprese italiane sono già in Libia pronte a costruire strade e reti telefoniche. Da lì l'Eni, che è a Tripoli dal 1959 era Mattei, oggi ricava non meno di 250 mila barili di petrolio al giorno, il 30% delle importazioni italiane. E sempre dalla Libia arriva il 12& del gas importato. l'a.d. dell'Eni, Paolo Scaroni, solo pochi giorni fa ha detto di ritenere la Libia «come la pupilla dei miei occhi perchè con questo paese abbiamo relazioni importanti. Pensiamo che in Libia investiremo 25 miliardi di dollari». Scaroni ha aggiunto di considerare tutti i propri interlocutori «da Gheddafi a Chavez, tutti belli, bravi e buoni. Perché per me sono tutti clienti». Alla faccia dei diritti umani.
Così come la costruzione della mega-autostrada da tre miliardi di dollari che attraverserà il litorale libico dalla Tunisia all'Egitto, 1700 chilometri è parco gioco per le aziende italiane. Alla fase di prequalifica, secondo quanto risulta all'agenzia Radiocor, parteciperanno infatti la cordata formata da Impregilo e Cmc di Ravenna, il consorzio fra Astaldi, Toto, Grandi Lavori Fincosit e Ghella, il gruppo Condotte. Alla finestra al momento il gruppo Salini-Todini, Pizzarotti, Cmb di Carpi, il gruppo Gavio tramite Itinera e diverse realtà del mondo cooperativo. L'opera è infatti prevista dal trattato di amicizia siglato nel 2008 fra Berlusconi e Gheddafi.
Dulcis in fondo le banche. Il colonnello è riuscito in due anni a diventare il primo azionista della prima banca italiana (Unicredit) con una quota vicina al 7% (valore quasi 2,5 miliardi) e grazie allo storico 7,5% che controlla nella Juventus è il quinto singolo investitore per dimensioni a Piazza Affari. Le finanziarie di Tripoli hanno studiato il dossier Telecom, puntano a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali. Palazzo Grazioli, nell'ambito del do ut des di questa realpolitik mediterranea, ha dato l'ok all'ingresso di Tripoli con l'1% nell'Eni ("puntiamo al 5-10%", ha precisato l'ambasciatore Hafed Gaddur). E la Libia ha allungato di 25 anni le concessioni del cane a sei zampe in cambio di 28 miliardi di investimenti. Un patto quello con la Libia che Berlusconi riassume così: «scuse e risarcimenti contro meno clandestini e più gas e petrolio».

29/08/2010


"I profughi": «E i nostri risarcimenti?»

«Ancora non abbiamo visto un euro». In vista dell'arrivo in Italia del leader libico, protesta la presidente dell'Airl, l'associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia, Giovanna Ortu. «Il governo Berlusconi - spiega - non ha firmato il decreto attuativo della legge del febbraio 2009 di ratifica del trattato fra Italia e Libia dell'agosto 2008, con la quale si stanziavano 150 milioni di euro per tre anni - 2009, 2010, 2011 - quale risarcimento ai privati per i beni confiscati quarant'anni fa. In media, circa 8.000 euro a persona». In "compenso", alla presidente dell'Airl è arrivato l'invito firmato Berlusconi per assistere domani assieme al premier e al colonnello Gheddafi alla kermesse di equitazione. «Andrò volentieri alla manifestazione, ma non vorrei - ironizza Ortu - che fosse un invito indiretto a darci all'ippica...».

dal sito Giornalismo partecipativo

Povere ragazze italiane


Nell’Italia del 2010 un’agenzia non ha difficoltà a reclutare 500 giovani italiane, rigorosamente piacenti, ben vestite e alte (dicono) almeno 170 centimetri, retribuendole 60 Euro (lordi? netti?) per presentarsi a mezzogiorno e restare disponibili per un tempo presumibile di sei-otto ore.
Il tema della disponibilità di queste ragazze, che si rendono complici del governo nell’ignorare le violazioni dei diritti umani in Libia che non possono far finta di ignorare, va al di là del ridicolo teatrino messo in piedi da Silvio Berlusconi per onorare il colonnello Gheddafi, che si deve essere divertito molto con il suo farsesco sermone sull’islam con il dettaglio della millantata conversione all’Islam di tre delle hostess reclutate e del dibattito sulla necessità di tali prestazioni per favorire le relazioni diplomatiche ed economiche Italia-Libia.
L’aspetto della disponibilità di queste 500 ragazze (quante altre si saranno candidate per essere scartate?) presumibilmente di classe media, sufficientemente raffinate ed educate da essere selezionate, che non avevano di meglio da fare tanto da essere disposte a perdere un pomeriggio domenicale per un compenso orario di 7-8 Euro (lordi?), è l’ennesimo sintomo preoccupante del declino economico ma anche sociale e culturale del paese.
Sessant’anni fa ci vollero vent’anni di fascismo e una guerra distruttiva che portò il paese alla fame per rendere migliaia di povere ragazze italiane disposte a compiacere gli “ospiti” stranieri per un pezzo di pane. Certo, non siamo per fortuna ancora al livello dei tempi della guerra, ma trent’anni di guerra della televisione commerciale contro la cultura e trent’anni di guerra neoliberale contro la dignità del lavoro non staranno facendo tornare sull’Italia i tempi di Tammurriata Nera?
Gennaro Carotenuto

Fonte:http://www.dongiorgio.it/pagine.php?id=2212

domenica 29 agosto 2010

IL NUOVO ULIVO FA SBADIGLIARE E' ORA DI ROTTAMARE I NOSTRI DIRIGENTI





Matteo Renzi (Sindaco di Firenze) Per sconfiggere Berlusconi dobbiamo liberarci di D’Alema, Veltroni, Bersani, senza distinzioni. La questione della leadership non riguarda me, ma Zingaretti, Chiamparino, Vendola


“Nuovo Ulivo? Uno sbadiglio ci seppellirà. Mandiamoli tutti a casa questi leader tristi del Pd”.

Ambizioso programma, sindaco Matteo Renzi.

“Non è mica solo una questione di ricambio generazionale. Se vogliamo sbarazzarci di nonno Silvio, io così lo chiamo e non caimano, dobbiamo liberarci di un’intera generazione di dirigenti del mio partito. Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani… Basta. E’ il momento della rottamazione. Senza incentivi”.


Rottamare i “vecchi” del Pd vuol dire automaticamente sbarazzarsi di Berlusconi?

“E’ la precondizione, il punto di partenza. Ma li vedete? Berlusconi ha fallito e noi stiamo a giocare ancora con le formule, le alchimie delle alleanze: un cerchio, due cerchi, nuovo Ulivo, vecchio Ulivo… I nostri iscritti, i simpatizzanti, i tanti delusi che aspetterebbero solo una parola chiara per tornare a impegnarsi, assistono sgomenti ad un imbarazzante Truman show. Pensando: ma quando si sveglieranno dall’anestesia? Ma si rendono conto di aver perso contatto con la realtà?”.


Che cosa propone di fare?

“Lo statuto del Pd parla chiaro, anche se ovviamente è rimasto inapplicato: dopo tre mandati parlamentari, giù dalla giostra. Se davvero si va alle elezioni anticipate, anche se personalmente ci credo poco, alla prima assemblea nazionale per le candidature vado alla tribuna e lancio il seguente ordine del giorno: facciamo riscoprire il piacere della semplice militanza ai nostri parlamentari che hanno varcato la soglia delle tre legislature. E, potendo, anche a Di Pietro, un altro che da 20 anni pontifica su tutto, e abbiamo visto i risultati”.

Resta però aperto il problema: che rapporti con Fini, con Casini, con la sinistra?

“Fini? Uno che passa da Almirante e Le Pen alla Tulliani e Barbareschi, di certo non fa per me. Però, non voglio nemmeno entrarci nel gioco del piccolo chimico. Piuttosto mi fate capire, per favore, che dice il Pd sul lavoro che cambia? Sull’innovazione? Sull’ambiente? E sulle tasse? Facevo ancora la maturità e già Berlusconi e Tremonti promettevano la riduzione a due sole aliquote. Quando siamo andati al governo noi, l’unico slogan era l’agghiacciante pagare le tasse è bellissimo. Ci sarà pure una via di mezzo…”.

Cos’è, un’autocandidatura alla leadership del Pd?

“Il mestiere di sindaco di Firenze mi diverte moltissimo, e qui voglio stare. Fossi stato a sentire D’Alema, Veltroni e Bersani mai sarei entrato a Palazzo Vecchio, macinato dalle primarie. Certo, appena apro bocca è sempre la stessa musica: il solito Renzi, l’ambizioso. E che ci vuoi fare, unifico il partito, c’ho tutti contro. Ma sai che c’è? Meglio un’accusa di arroganza che un processo per diserzione. La questione della leadership non riguarda me ma il tema esiste. Eccome”.


Chi riguarda allora?

“Di nomi ne vedo parecchi. Fra la gente che viene dal territorio. Da scegliere con le primarie, ovunque”.


Chiamparino, Zingaretti, Vendola?

“Sicuramente sì. Tre nomi che, con caratteristiche diverse, sono in grado di dire e dare qualcosa di nuovo al Pd. Lontani dal balletto di agosto al quale stiamo assistendo con scambio di lettere o cartoline fra i nostri dirigenti da un quotidiano all’altro. Litigando”.


Anche lei però aveva litigato con Zingaretti, accusandolo per la mancata candidatura alle regionali nel Lazio.

“Abbiamo litigato, ci siamo chiariti davanti ad una bistecca alla fiorentina. Ma poi, chissenefrega della polemica, di qualche parola di troppo se poi in realtà sei sulla stessa lunghezza d’onda. Io penso che oggi Nicola sia fra quelli che nel Pd rappresentano le novità”.

Quarantenni e territorio: è la formula per cambiare il Pd?

“Penso sia la combinazione giusta per ascoltare e raccogliere le indicazioni del nostro popolo. Più che cambiare però io direi proprio: azzerare”.

Sembra di sentire Nanni Moretti.

“Io però faccio politica col Pd e sono impegnato nel mio ruolo di amministratore. E soprattutto quel grido di piazza Navona, “andate a casa”, allora era di un solo intellettuale. Oggi temo sia condiviso della stragrande maggioranza del popolo democratico”.

sabato 28 agosto 2010

CON QUESTI DIRIGENTI NON VINCEREMO MAI .............




Veltroni e Bersani da un paio di giorni si dilettano nell’utilizzo di quello che sembra essere diventato il principale strumento di comunicazione politica dei dirigenti Pd agli elettori: la lettera aperta ai direttori dei quotidiani.

Ha cominciato l’ex sindaco di Roma il 24 agosto sul Corriere della Sera. “Scrivo al mio Paese e vi dico cosa farei”, questo il titolo di una lettera che sembra più il manifesto di un personaggio esterno alla vita politica che si prepara a scendere in campo piuttosto che il punto di vista dell’ex segretario dei Ds e del Pd che da decenni partecipa ai massimi livelli della vita politica italiana. Non aggiungo una parola all’editoriale di Travaglio dal titolo “Giri di Walter”. Nulla di particolare contro Veltroni, probabilmente migliore come sindaco che come dirigente di partito, ma pensare di resettare gli errori politici degli ultimi anni con un semplice periodo di silenzio e una lettera al Corriere mi sembra veramente troppo.

L’apice però è arrivato con la pronta risposta di Bersani che stamane ha pubblicato una lettera su Repubblica. Anche qui l’incipit è un’analisi dei risultati del cosiddetto “berlusconismo”, senza alcun riferimento al fatto che il ventennio di regime arcoriano è in massima parte responsabilità della storica dirigenza del Pd, Bersani compreso. D’altra parte ciò che lascia veramente allibiti è la pervicacia con la quale l’attuale segretario democratico si ostina ad immaginare la proposta politica futura. Prima, responsabilmente, manifesta la disponibilità del Pd a sostenere un eventuale governo di transizione al fine di affrontare la riforma della legge elettorale. Poi, improvvisamente, la proposta: “un’alleanza democratica per una legislatura costituente”, “una proposta che potrebbe coinvolgere anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto politico normale (come già avviene in Europa) avrebbero un’altra collocazione”. Insomma, la santa alleanza contro Berlusconi; il Pd con l’Udc di Casini e Cuffaro, con Rutelli, con Fini, con Raffaele Lombardo, chissà magari anche la Lega (significativo il riferimento ad un “federalismo concepito per unire e non per dividere”). Una coalizione nella quale, è evidente, non ci sarebbe spazio per l’Italia dei Valori e per tutte le espressioni della sinistra, a partire da Vendola. Un pot pourri elettorale che riecheggia vagamente i fasti democristiani.

Contraddittorio che dopo aver lanciato questa proposta, Bersani invochi “l’impegno univoco, leale, convinto e coeso di tutte le forze progressiste”. Quali forze progressiste? L’Udc? L’Api? L’Mpa? La Lega?

Dopo anni di sconfitte su tutte le competizioni elettorali possibili e un’emorragia di voti che in altri paesi spingerebbe alle dimissioni anche i più ostinati dirigenti di partito, Bersani, D’Alema & Co. continuano a lavorare per dare sponde alle forze insane del panorama politico italiano, senza rivolgersi minimamente a quella parte di Italia che da anni si oppone a Berlusconi, quella stessa parte che da anni non trova una proposta elettorale in grado di entusiasmarla. Nessun riferimento alle primarie aperte, unico strumento che potrebbe scaldare il cuore dell’elettorato, nessun riferimento ai punti programmatici.

Mi chiedo se Bersani prima di lanciare la sua proposta si sia posto una domanda: la base del suo partito, gli iscritti al Pd, gli elettori effettivi e potenziali del centrosinistra, vogliono una coalizione che si propone come alternativa di governo costruita sull’antagonismo a Berlusconi, costruita con quelle che per 20 anni sono state le sue principali stampelle, senza che sia ipotizzabile una qualche convergenza programmatica? Ma si sa, l’idea di catturare l’elettore “moderato” è un buon alibi per consegnare a Berlusconi il paese, l’impunità e, perché no, la presidenza della Repubblica.

Sonia Alfano, Candidata INDIPENDNTE alle Europee nella lista di Italia dei Valori, eletta con 167.000 voti.

venerdì 27 agosto 2010

MONDADORI "no grazie"




Grazie a una legge “ad aziendam” varata dal Parlamento, la Mondadori potrà estinguere un antico contenzioso con il fisco pagando il 5% della somma dovuta, arrivando a risparmiare 350 milioni di euro.

L’animatore della campagna è Gianfranco Mascia, uno che se ci fossero gli oscar dell’antiberlusconismo, meriterebbe una menzione d’onore.

Il coordinatore dei comitati BO.BI, Boicotta il biscione, ha lanciato attraverso il sito www.mondadorinograzie.org una petizione online attraverso cui sarà possibile scrivere ai propri autori preferiti che lavorano con la Mondadori di non pubblicare più per la casa editrice.

Attraverso un form online sarà possibile esprimere il proprio disappunto direttamente ai vari Carlo Lucarelli, Roberto Saviano, Vittorio Zucconi e a tutta la scuderia di scrittori che, nonostante abbiano il cuore a sinistra, continuano a scrivere per l’azienda di Marina Berlusconi.

A partire da settembre la campagna dal web si sposterà nelle piazze. Il comitato ha infatti intenzione di organizzare manifestazioni e volantinaggi davanti alle librerie per sensibilizzare l’opinione pubblica a non comprare libri Mondadori.

giovedì 19 agosto 2010

Intercettazioni, cosa cambia punto per punto di Giulio Sorrentino.





Ciao Vladi, questo è il mio ultimo "lavoro" mi è costata una bella fatica, ho consultato i testi originali del ddl più altri riferimenti dalla rete. Purtroppo è molto lungo (5pag) e tecnico, ma mi sono sforzato di semplificarlo e alla fine penso che il senso si capisca. Sarei felice se lo pubblicassi sul tuo blog: la gente deve sapere. A presto, un saluto Giulio :)


Un lavoro encomiabile caro Giulio, un’ analisi tecnica precisa, forse più adatta agli addetti ai lavori che a chi si sfoga o si distrae partecipando ai forum e ai blog. Uno studio minuzioso, non facile da leggere e da comprendere ma che indubbiamente merita un posto nel nostro piccolo blog. Grazie Vladimiro.


Scrivo questo articolo in risposta ad un intervento di un caro amico sul sito pdl-sorrento, in merito al ddl intercettazioni. Tale posposta di legge, di fatto, se approvata, porterà due effetti: limiterà la possibilità di intercettare le utenze degli indagati (ed è questo l’aspetto che analizzeremo); non permetterà di raccontare le inchieste sui giornali in modo dettagliato ed esaustivo (aspetto di cui mi sono già occupato). Ora, non si discute sulla necessità di un provvedimento del genere in un momento di tale crisi economica, politica e soprattutto sociale. Sembra nota la sua inopportunità. A mio avviso, il Parlamento dovrebbe concentrarsi su altro. Tuttavia i motivi che spingono il Pdl ad approvare una norma del genere li possiamo così riassumere:
1) le intercettazioni costano troppo; 2) L’A. G. ne abusa; 3) Bisogna tutelare la privacy del cittadino.

Sarà vero che le intercettazioni costano troppo? Vediamo.
il Sole 24 ore scrive che nel 2009 la spesa è stata di 270 milioni di euro. Inoltre, si aggiunge che “le cose stanno cambiando. Ad esempio, scendono i costi delle singole operazioni:(siamo a una media poco superiore ai 1.500 euro a bersaglio contro gli oltre 3mila del 2003. Per il 2010, i circa 180 milioni di euro messi a disposizione dal ministro, incidono per il 2,4% sul budget complessivo della giustizia. E non per 50% come dice Alfano!
Se vogliamo fare il raffronto poi con tutto ciò che è stato confiscato in varie inchieste, grazie a questo formidabile strumento, la tesi del costo eccessivo non sta in piedi.

Sarà vero che sono troppe le utenze sotto controllo? B. dice addirittura 7.5 miliardi di cittadini intercettati. Ancora il giornale di CONFINDUSTRIA (Sole 24 ore), che lungi dall’essere un giornale “rosso”, smentisce: sono “120mila telefoni sotto controllo, oltre 11mila intercettazioni ambientali. In totale, nel 2009, le procure hanno spiato oltre 130mila «bersagli». Termine che, tradotto dal gergo degli inquirenti, è (quasi) sinonimo di «indagati» sottoposti a intercettazione. Il "quasi" è d'obbligo perché ciascun indagato potrebbe disporre di più di un telefonino: a conti fatti, il numero di individui dietro le utenze telefoniche controllate dalle procure è quindi più basso, verosimilmente intorno a 80mila, se si stimano tre cellulari ogni due persone.”.
Ma se ancora tutto questo non vi da l’idea dell’inutilità di questa legge, voglio far presente altri elementi interessanti.
Il Parlamento, nella scorsa legislatura, ha costituito una commissione d’inchiesta sulla qualità delle intercettazioni. Da tutto il mondo sono arrivati esperti nel settore con l’incarico di analizzare l’efficacia di questo strumento d’indagine e di confrontare la metodologia d’uso italiana con altri paesi. Il Risultato è eloquente. La commissione conclude che “ le garanzie che il nostro sistema legale assicura al cittadino non hanno l’eguale presso alcun altra democrazia occidentale. Infatti, in Italia la limitazione di diritti fondamentali come quelli tutelati dall’articolo 15 della Costituzione (definiti «inviolabili») può avvenire soltanto a seguito di previsione legislativa e di provvedimento motivato dell’autorità` giudiziaria. Naturalmente questa relazione è stata firmata anche dal Pdl. Forse l’hanno scordato.

Non dobbiamo dimenticare che questo ddl, oltre a limitare le intercettazioni, limita pure la possibilità di pubblicare gli atti di inchiesta pubblici. Cioè, gli atti sono pubblici ma non pubblicabili, o per lo meno lo sono solo i riassunti. Una cabala sulla informazione. Infatti, l’Onu avverte “la legge sulle intercettazioni mina la libertà di informazione”. Certo è, che l’Onu nemmeno mi sembra un organo bolscevica. Poi va bè, punti di vista.
Se poi tiriamo in ballo la stampa estera, tanto peggio: il “no” alla proposta è unanime. È bene precisare che nemmeno la stampa estera è in mano ai fautori del“Avanti o popolo.”
Viene a galla, così, la vera ratio legis: salvare una 15ina di persone da indagini scomode. Ovvero impedire ai magistrati di scoprire e punire i reati dei cd “colletti bianchi”.

Fatta questa sorta di preambolo quello che mi preme ora è confutare l’articolo citato precedentemente, cercando di smontarne alcune tesi, laddove è possibile, e al contempo avvallarne delle altre, laddove sia lecito..
Entriamo nel testo del ddl e cerchiamo di intendere le modifiche che apporterebbe apportare al codice di procedura penale. Ecco i punti salienti.

1) Ci saranno limiti di ammissibilità non solo per le intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione ma anche per “le immagini mediante riprese visive e l’acquisizione della documentazione del traffico(tabulati) delle conversazioni o comunicazioni”
Quindi, l’Anm (associazione nazionale magistrati) ha ragione quando afferma che «Oggi si possono effettuare, da parte della polizia giudiziaria e senza autorizzazione del magistrato, riprese visive (senza captazione dei suoni) in luoghi pubblici o aperti al pubblico.” Perché se passasse questa legge, in futuro, anche per le riprese visive in luoghi pubblici sarà necessario l’autorizzazione del collegio di magistrati. In più, ci saranno i limiti da rispettare (ex 266), che ora valgono solo per le intercettazioni telefoniche. Idem per l’acquisizione dei tabulati.

2) le intercettazioni potranno essere disposte:
- con l'autorizzazione del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, “che decide in composizione collegiale”.
Oggi, invece, le dispone il Gip su richiesta del PM. Per ogni utenza telefonica da sottoporre a intercettazione, per ogni tabulato telefonico, per ogni intercettazione ambientale e per ogni ripresa visiva da acquisire, il pubblico ministero dovrà trasmettere l'intero fascicolo al tribunale del capoluogo del distretto. Ne consegue: una perdita di tempo mostruosa per le indagine e un aggravio sui costi, vista la necessità di trasferire ogni volta tutti i faldoni dell’inchiesta al tribunale di capoluogo; in più, nei casi in cui si dispongono le intercettazioni oltre 75 giorni , questo via vai di carte deve essere ripetuto ogni tre giorni.
- Quando”ricorrono congiuntamente i seguenti presupposti”:
a) sussistono gravi indizi di reato.
Qui si è fatto un passo indietro rispetto al vecchio ddl che prevedeva “evidenti indizi di colpevolezza”. Infatti, il codice sembra rimanere invariato, ma vi spiego l’arcano. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si dovranno tener conto gli articoli 192, commi 3 e 4 previsti per valutare le prove, non gli indizi . I commi 3 e 4 del detto articolo, si riferiscono alla valutazione della chiamata in correità (cioè, le dichiarazioni rese contro altri da coimputati o da imputati di reati connessi o collegati a quello per cui si procede) che costituisce fondamentale strumento di prova in un numero elevatissimo di vicende processuali, soprattutto relative a delitti di criminalità organizzata. In questi casi il giudice deve fare una serie di controlli accurati e scrupolosi, proprio perche sono prove da valutare. In primo luogo, procedere alla verifica della credibilità del dichiarante, in relazione, tra l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed all'accusa dei coautori e complici; occorrerà, quindi, verificare l'intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante alla luce di criteri quali, precisione, coerenza, costanza, spontaneità; il giudice dovrà, infine, esaminare i c.d. riscontri esterni idonei a confermare l'attendibilità della chiamata. Grazie al ddl tutto ciò varrà anche per le chiamate in correità intercettate in fase di indagine preliminare. E scusate se è poco.
In più si dovrà tener conto anche dell’art 195, comma 7, che come quello di prima, serve per valutare le prove. Questi prevede :“non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame”. Tutto ciò esteso anche per le intercettazioni, significa che non le si possono utilizzare, quando non si riesce a capire chi abbia fornito all’intercettato la notizia del fatto sul quale si indaga o essenziale per le indagini. Così, anche in questo, caso pur riammettendo la dicitura “gravi indizi di reato”, ci dicono che “piove ma in realtà ci pisciano in testa” come direbbe Travaglio.
b) “nei casi di intercettazione di conversazioni (..)le utenze sono intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti indagati, oppure sono intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti diversi che, sulla base di specifici atti di indagine, risultano a conoscenza dei fatti per i quali si procede e sussistono concreti elementi per ritenere che le relative conversazioni o comunicazioni siano attinenti ai medesimi fatti”;
c) anche nei casi di acquisizione dei tabulati telefonici si rispetta la lettera b;
d) anche“nei casi di intercettazioni di immagini mediante riprese visive”, vale la lettera b però rispetto non alle utenze, ma ai luoghi ripresi;
e) “le operazioni sono assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini”;
f)” il decreto che le dispone deve espressamente e analiticamente” indicare i precedenti presupposti;

3) la durata delle operazioni è prevista per “un periodo massimo di trenta giorni, anche non continuativi”. Però, il ddl dice che può essere prorogata dal tribunale fino a quindici giorni. Una ulteriore proroga delle operazioni fino a quindici giorni, può essere autorizzata qualora siano emersi nuovi elementi. Non finisce qui, perché quando, sulla base di specifici atti di indagine, emerge l'esigenza di impedire che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, il pubblico ministero può richiedere nuovamente una proroga fino a quindici giorni, anche non continuativi. In altre parole il giudice può arrivare faticosamente a far intercettare fino a 75 giorni. Dopodiché il PM può, ancora, “in casi di urgenza”, prorogare le operazioni attraverso un decreto reiterabile per “altri tre giorni”, naturalmente con l’assenso del collegio autorizzante, rinnovato allo scadere del terzo giorno.

4) le intercettazioni ambientali potranno essere disposte solo quando “vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l'attività criminosa”. Cosa cambierebbe rispetto ad ora? Dunque, l’art 266 del codice di procedura penale ora vigente dice "...è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’art. 614 c. p (violazione di domicilio), l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”. La differenza sta nel fatto che il riferimento al 614 c.p., sparirebbe. Mentre ora, soltanto in presenza della violazione di domicilio (614 c. p.), deve esserci "il fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa", in futuro dovranno esserci sempre fondati motivi "di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa". Praticamente devi sapere prima, che si sta svolgendo un reato, poi puoi mettere la cimice. E che la metti a fare? Oggi è proprio questo il merito, mettere una cimice per vedere se si scopre un reato.
Tuttavia c'è un piccolo codicillo che dice: "Tuttavia, qualora dalle indagini svolte emerga che l'intercettazione potrebbe consentire l'acquisizione di elementi fondamentali (..) e la stessa debba essere eseguita in luoghi diversi da quelli indicati dall'art. 614 del codice penale, il pubblico ministero, con decreto eventualmente reiterabile ricorrendone i presupposti, dispone le operazioni per non oltre tre giorni scondo le modalità" indicate riguardo le intercettazioni telefoniche. Tradotto: quando non devi intercettare in casa, hai tre giorni di tempo per intercettare fuori, in macchina, in un luogo pubblico. Infatti, Travaglio dice il vero quando afferma: ”Si potrà piazzare una microspia «solo se vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l’attività criminosa».” Però, sono costretto smentirlo su una cosa che nemmeno nell’articolo del pdlsorrento si fa cenno (la riprova della mia imparzialità). Marco afferma che quest’ultima modifica vale anche per terrorismo e mafia. Ma il ddl è chiaro sul punto ”L'intercettazione di comunicazioni tra presenti, disposta in un procedimento relativo ai delitti di cui al presente comma (Mafia e terrorismo. ndr) è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l'attività criminosa”.

5) Per quanto riguarda la ricerca dei latitanti, per il Pdl nulla cambierà. È laVerità?.
l'articolo 295, comma 3, del codice di procedura penale sarà questo:
Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267, può disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione. Non si applica il limite di durata massima delle operazioni previsto nell'articolo 267, comma 3. Si applicano ove è possibile le disposizioni degli articoli 268, 269 e 270.
è vero quindi che non ci saranno limiti temporali per la ricerca dei latitanti previsti dall’articolo 267 comma 3, ma è vero pure che anche i questo caso dovranno essere rispettati il comma 1 e 2 del 267 (mezzi di prova), cioè quelli riguardanti tutte le restrizioni sopra citate. E non mi pare poco, anzi. Così, come dice l’Anm, “anche le attività di ricerca dei latitanti di mafia subiranno un grave danno” : perché nlla proposta di legge, nulla di preciso si evince relativamente quest'ambito.

6) Veniamo all’utilizzazione dell’intercettazioni in altri procedimenti ( ex 270 ccp). Mentre ora l’ art 270 è questo: “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.”, in futuro cambierà così: ”I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le intercettazioni sono state disposte, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti di mafia e terrorismo, nonché per l'accertamento dei delitti” di Corruzione del cittadino da parte dello straniero, Attentati contro l'integrità, l'indipendenza o l'unità dello Stato, Favoreggiamento bellico, Scambio elettorale politico-mafioso, Devastazione e saccheggio, Detenzione di materiale pornografico, Pornografia minorile, “e non siano state dichiarate inutilizzabili nel procedimento in cui sono state disposte” . Ci manca il meglio: i delitti contro la pubblica amministrazione (peculato, concussione, corruzione, ecc). Perché non ci sono? Domanda retorica.

8)C’è pure la famigerata norma D’Addario ”Chiunque effettua riprese o registrazioni di comunicazioni e conversazioni a cui partecipa, o comunque effettuate in sua presenza, é punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni se ne fa uso senza il consenso degli interessati.”
Se questo articolo oggi fosse in vigore, non avremo saputo niente delle scappatelle del premier e di tutta l’inchiesta sui festini dei potenti a base di escort e droga organizzate da Gampi Tarantini.

7) Relativamente i delitti di mafia e terrorismo APPARENTEMENTE nulla cambia. Infatti, il ddl prevede espressamente che quando le intercettazioni sono necessarie per lo svolgimento delle indagini in relazione a delitti di mafia e terrorismo, “l'autorizzazione è data se vi sono sufficienti indizi di reato. Nella valutazione dei sufficienti indizi si applica l'articolo 203”. Quindi sparisce anche quell’artifizio che ho spigato prima al punto 2, lettera a di questo post.
La durata delle operazioni però, non potrà superare i quaranta giorni, ma potrà essere prorogata dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, entro i termini di durata massima delle indagini preliminari. Nei casi di urgenza si applica il comma 2 del 267, ovvero come vigente per gli altri reati. Non è vero dunque che non c’è nessun limite temporale. E non è vero nemmeno che il d.d.l. ha inserito nell’art.267 del c.p.p. le disposizioni oggi contenute nell’art.13 del decreto legge 13 5 1991 n.152, per lo meno non al 100%. Perché il detto articolo, non contiene, appunto, nessun limite di tempo. O per meglio dire, il decreto legge non fa nessun riferimento ai termini di durata massima delle indagini preliminari.
Anche in questo caso i faldoni dell‘inchiesta dovranno fare un via vai generale tra procura limitrofa e procura di capoluogo.
Tuttavia voglio sottolineare più di tutto, sotto questo aspetto, un'altra cosa: non è vero che se questo ddl passasse la lotta alla criminalità organizzata non subirebbe colpi! Su questo punto hanno ragione Travaglio, l’Anm, Repubblica, Di Pietro e tutti quelli che osteggiano il ddl.
Vi spiego subito il perché. Il delitto di associazione mafiosa (anche di Terrorismo e simili), non è come gli altri. Per contrastarla bisogna arrivarci; e ci si arriva anche grazie a un contrasto concreto dei cd reati “fine” collegati alle infiltrazioni nel mondo economico e della pubblica amministrazione: turbativa di appalti, abuso d’ufficio, corruzione, estorsione, ecc… Tutti reati per i quali varranno le modifiche principali! In altre parole bisogna prima scoprire, il furto, l’estorsione, la corruzione, il commercio di droga ecc… poi si mette tutto insieme e si riscontra un organizzazione che pilota e trae profitto da questi illeciti, appunto l’associazione mafiosa. Però, se il PM ha di fronte a se un muro di cinta ( il ddl intercettazioni ndr) che non permette si scoprire i furti, l’estorsioni, le corruzione, il contrabbando di droga, la turbative di appalti, l’abuso d’ufficio, l’estorsioni, le truffe, i sequestri di persona, lo sfruttamento della prostituzione, le rapine, i furti in appartamento, le associazioni per delinquere, le violenze sessuali, gli scippi, gli incendi, le ricettazioni, le calunnie, i reati ambientali, i reati contro la salute e la sicurezza dei lavoratori, i reati economico finanziari, le frodi fiscali, la ricerca di latitanti ecc…come fa a scoprire l’associazione mafiosa? Sarebbe un associazione che non si occupa di niente?
Leggiamolo l’art 416- bis a titolo di chiarimento: “L’associazione e’ di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta’ che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attivita’ economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per se’ o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a se’ o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. Quindi cambia TUTTO.
Caro Lupi, caro Pdl tutto, ve lo dico sinceramente: ma chi credete di prendere per i fondelli?

Alla luce di quanto riportato, io credo che le “stressanti critiche” (come le definisce il mio caro amico A. Apreda) non siano insussistenti, anzi, c’è un enorme non detto che rischia di confondere le idee a tutti. In più cerchiamo di non perdere di vista la ratio legis di questo ddl: salvare i soliti noti. Cioè quei 15/20 furbetti che hanno in mano l’Italia e che se la stanno mangiando!
Ricordate: se ci informiamo è molto più difficile fregarci.
Giulio Sorrentino

mercoledì 18 agosto 2010

Addio al Picconatore, è morto Cossiga




Francesco Cossiga è morto alle 13,18 all'ospedale Gemelli di Roma dove da lunedì 9 agosto era ricoverato in rianimazione per una insufficienza cardiorespiratoria.

La morte di Francesco Cossiga segna la scomparsa di uno dei testimoni più importanti e significativi della prima Repubblica e dei suoi misteri. Secondo alcune indiscrezioni Cossiga avrebbe lasciato delle lettere sigillate e custodite in un plico alle massime autorità dello Stato. A CNRmedia le testimonianze di Bobo Craxi Luigi Berlinguer, Paolo Cento, Nando Dalla Chiesa e Daria Bonfietti


''Con Francesco Cossiga scompare una delle figure più eminenti della Repubblica italiana" ha detto Bobo Craxi, figlio del leader socialista Bettino. "Cossiga fu per mio padre più di un collega, erano amici. Lo andò a trovare anche quando era in esilio in Tunisia, rompendo un tabu - aggiunge Bobo Craxi - . È stato sempre vicino alla mia famiglia, che ne ha sempre apprezzato le grandi doti umane, l'intelligenza, la straordinaria ironia. L'Italia ha perso una personalità la cui grandezza stride di fronte ai personaggi della seconda Repubblica'' conclude Bobo Craxi ricordando la figura del presidente Emerito della Repubblica.


"È stata una persona di rara intelligenza, di molta curiosità, che ha avuto in più occasioni della sua vita una funzione di rinnovamento. Però è stata una personalità contraddittoria: a queste qualità si aggiunge uno spirito molto marcato e atteggiamenti che indulgevano al personalismo o forme di polemica politica inusuale che non sempre potevano essere giustificate con l'originalità o con l'amore della verità. Aveva un animo misterioso: per esempio la sua sensibilità per la massoneria, alcune sue uscite su vicende politiche più recenti". Così l'ex ministro della Pubblica Istruzione e europarlamentare Luigi Berlinguer ricorda Francesco Cossiga.

"Tutta la sua carriera si è svolta all'interno delle istituzioni e lui ha lavorato con forte senso istituzionale: noi abbiamo bisogno di personalità della politica che sentano le istituzioni come parte di se stessi. Oggi non c'è in alcune parti un rispetto sufficiente per le istituzioni. Lui era diverso".

"Negli ultimi tempi ci aveva lasciato un messaggio di speranza, perché tendeva a raccontare pezzi di verità importanti che ci hanno permesso di riaprire le indagini sulla vicenda" afferma Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione Parenti Vittime Strage Ustica. "E' stato un messaggio importante - dice Bonfietti - quegli elementi li ha dati ai maigistrati, speriamo che siano utili per arrivare finalmente alle responsabilità di quell'evento. La sua presa di posizione è stata importante" conclude.

"Non posso dimenticare le tante malevolenze che Cossiga espresse su mio padre. La pietà per la morte non cancella i ricordi". Questo il commento sulla morte del Presidente Cossiga da parte di Nando Dalla Chiesa. "Di segreti Cossiga ne ha conservati tanti - dice Dalla Chiesa - e falsi segreti li ha alimentati con le sue interviste. Ho i miei interrogativi, del perché avesse preso questa usanza di attaccare persone alla memoria. Mio padre non era l'unico, ricordo Moro, ricordo Berlinguer. Io posso solo giudicarlo in base a quello che diceva, arrendendomi davanti al fatto che aveva una capacità di raccontare sui media vicende incontrollabili" conclude Dalla Chiesa.

"Cossiga porta con sé molte ombre che hanno caratterizzato la vita democratica del nostro Paese. Chissà che non abbia lasciato una specie di memoriale postumo per aiutarci a comprendere che cosa accadde il 12 maggio 1977, quando fu assassinata Giorgiana Masi e le ragioni di un uso spregiudicato delle squadre speciali che caratterizzò quegli anni" spiega Paolo Cento di Sinistra e Libertà, promotore di una commissione d'inchiesta per chiarire i contorni della morte della giovane militante radicale. All'epoca Cossiga era Ministro degli Interni.

"Avremmo preferito che invece elle lettere ci fosse stato un contributo di Cossiga da vivo - aggiunge Cento - non tanto per le responsabilità giudiziarie dei protagonisti di allora, ma perchè una democrazia è forte e vince quando è in grado di riconoscere i propri errori come furono le leggi speciali".

CNRmedia - 17/08/10

venerdì 13 agosto 2010

QUANTE FESSERIE CI RACCONTANO: La nuova legge elettorale? Un bluff. Se si vota, si vota con quella di prima




E’ stato lui per primo a segnalare la “falla” nella strategia di Berlusconi. Non che lo sapesse solo lui, ma è stato il primo a metterlo nero su bianco e a corredarlo di numeri e tabelle. E’ presumibile che un ceto politico soprattutto parolaio e discretamente incompetente anche su se stesso e sugli “affari di casa” della “falla” sia sia reso conto solo dopo averla vista stampata giorni fa sul Sole 240re e firma Roberto D’Alimonte.

La strategia, la voglia matta di Berlusconi la conoscono tutti, lui stesso non ne fa mistero: aggirare tutta l’opposizione ed anche il “saliente dei finiani” con un blizkrieg corazzato. Metterli tutti dentro una “sacca” e stritolarli con le elezioni anticipate. Strategia che riduce tutti gli avversari a difensori di una linea Maginot che non riesce a sparare un colpo perchè il “panzer” elettorale li prende alle spalle. Bene, ma D’Alimonte ha dimostrato che esiste la possibilità che ai “tank”, alle colonne corazzate del Pdl e della Lega potrebbe mancare la benzina a due passi dalla vittoria. La “falla” si chiama Senato: lì Berlusconi e Bossi potrebbero non avere la maggioranza dei seggi se gli elettori italiani votassero nel 2011 più o meno come hanno votato nel 2008.

La legge elettorale vigente prevede un premio di maggioranza in seggi alla coalizione che prende più voti sul territorio nazionale. Ma questo vale solo per la Camera dei deputati. Su scala nazionale il Pdl “vale” circa il 35 per cento dei voti, la Lega più del 10 per cento. Qurantacinque e passa per cento in totale se a Berlusconi e Bossi va “normale” e neanche troppo bene. Non c’è partita, a meno di rivoluzioni elettorali sempre possibili ma non prevedibili.

Il Pd, anche se ha più del doppio dei voti della Lega (tutti se lo dimenticano calcolando il potere, fortissimo, e non il consenso, vasto ma limitato, di Bossi e dei suoi), con l’Idv fa a fatica 35 per cento. Si aggiunga pure Vendola e qualcosa d’altro a sinistra, si ipotizzi pure un recupero dell’astensionismo di sinistra in nome e virtù della “liberazione” da Berlusconi, si arriva al 38, 40 per cento? Non c’è partita, anche se a Bersani, Di Pietro e Vendola uniti andasse alla grande. E se il Pd va con Casini, Rutelli, magari Montezemolo? Perde Di Pietro e Vendola e affini.

E anche questa alleanza alla Camera torna a fare, con ottimismo, 35 per cento o poco più. Quindi alla Camera Berlusconi e Bossi prendono il premio di maggioranza, vincono e chiudono tutti nella “sacca”, finiani compresi. Una lista autonoma “finiana” può darsi solo in alleanza con Casini e il resto del centro. Se va alla grande, quindici per cento. Fosse anche venti per cento, da capo a dodici…Quanto al tutti insieme contro Berlusconi e Bossi, da Fini a Vendola, passando per Casini e Bersani, semplicemente non esiste.

Al Senato invece il premio di maggioranza è su base regionale. E’ la strana legge voluta e inventata da Calderoli. Inventata quando sembrava a tutti che le successive elezioni le avrebbe vinte il centro sinistra, inventata apposta per “azzoppare” quella vittoria. E infatti al Senato premio di maggioranza regionale vuol dire che chi prende più voti in quella Regione prende la maggioranza dei seggi, il secondo prende quel che resta dei seggi a disposizione.

Il “secondo”, e se i “secondi” sono due? Allora i due “secondi arrivati” spartiscono i seggi non andati al primo arrivato. Ed è questa la “falla”: per avere la maggioranza dei seggi al Senato Berlusconi e Bossi devono arrivare primi nelle Regioni a maggioranza netta di destra e leghista, ma devono anche arrivare secondi, solitari secondi nelle Regioni in cui vince il centro sinistra.

Se c’è un altro “secondo”, insomma un terzo concorrente che raccoglie i voti presi nel 2008 da Casini, Lombardo più un Fini che prende un terzo dei voti che erano di An, allora Berlusconi e Bossi al Senato la maggioranza non ce l’hanno. Il loro eventuale governo diventa zoppo, il blitzkrieg fallisce.
D’Alimonte l’ha dimostrato e Berlusconi l’ha preso sul serio. Merita dunque credibilità D’Alimonte, sa di cosa parla e scrive. E ne ha scritta un’altra, anche questa non ci voleva la zingara per indovinarla, ma D’Alimonte la spiega che è un piacere. Spiega che la richiesta delle opposizioni di una nuova legge elettorale è un bluff. Un bluff fatto avendo in mano scartine. Basta domandare “quale” nuova legge elettorale. Una legge proporzionale con sbarramento al cinque per cento? E’ la legge che piace a Casini e D’Alema, la legge che smonta la rendita di posizione di Bossi e lo strapotere di Berlusconi perchè non obbliga i partiti a decidere le alleanze di governo prima del voto: ognuno prende i voti che sa e che può e poi si vede. Ma questa legge non piace a mezzo Pd e come si fa a cambiare la legge elettorale contro la volontà dell’attuale parlamento a maggioranza Pdl e leghista? Non si fa, non si può.


Si potrebbe fare una nuova legge elettorale maggioritaria ritornando ai collegi uninominali, quella che c’era prima della “porcata” di Calderoli secondo la sua stessa definizione. Il paese diviso in tanti collegi, in ciascun collegio il candidato di una, due o tre coalizioni. L’elettore che sceglie il suo deputato e senatore e non vota per quello nominato dal capo del partito prima ancora che si voti. Ma questa legge, questo tipo di legge non la vuole Casini e non la vuole Vendola e non la vogliono i piccoli partiti che nella stragrande maggioranza dei collegi arriverebbero sempre ultimi o quasi. Quindi chi la vota in Parlamento questa nuova legge? Mezzo Pd e poi?

Terza ipotesi, altrettanto fantasiosa: si abolisce il premio di maggioranza su base regionale al Senato. Conviene oggi solo a Berlusconi. Perchè mai gli altri dovrebbero dire di sì? Conclusione ovvia, politica e matematica insieme: se si vota, si torna a votare con la legge che c’è. E se rallentamento o pausa indubbiamente ci sono stati nello scivolare verso le elezioni anticipate è per i due “Commi D’Alimonte” prima che per ogni altra cosa. Sì, Napolitano non vuole e lo dice pure. Un ostacolo grosso ma non insormontabile. Sì, potrebbe nascere un governo tecnico elettorale. Ma Berlusconi lo userebbe come trampolino per la vittoria, gridando al golpe. Sì, bisogna aspettare almeno gennaio/febbraio per sciogliere le Camere perchè a inizio anno ci sono centinaia di miliardi di titoli pubblici da piazzare sul mercato e il mercato non gradisce crisi politiche. Se ci sono, si cautela chiedendo rendimenti più alti per comprare le emissioni sovrane…Sì, c’è tutto questo e anche altro: i dossier che volano, il clima rancido.

Ma soprattutto la corsa alle elezioni ha rallentato perchè Berlusconi e Bossi non sono sicuri di avere i seggi che servono al Senato e le opposizioni sanno che non avranno mai una nuova legge elettorale anche perchè non sanno che legge volere. Alla fine però c’è un “Terzo Comma” che non è di D’Alimonte, è, se così si può dire, un comme genetico, uno “spirito”, una natura, un istinto, un’attitudine. Quelle di Berlusconi e del Pdl: macchine elettorali e non di governo. Il blitzkrieg li affascina, li mobilita, li compatta, li convince, li esalta. Probabilmente lo proveranno lo stesso e tutto, proprio tutto, si giocherà su quel barile di benzina in più o in meno nel motore dei loro carri armati.

Fonte: http://www.nuovaresistenza.org/2010/08/13/la-nuova-legge-elettorale-un-bluff-se-si-vota-si-vota-con-quella-di-prima/

giovedì 12 agosto 2010

UNIONI CIVILI, SE NE PARLA, MA IL PARLAMENTO PENSA AD ALTRO





Il vicepresidente di FLI (il neonato gruppo parlamentare legato a Fini), Benedetto della Vedova, ha proposto di riaprire alla Camera il dibattito sui temi etici, in particolare sulle coppie omosessuali e conviventi, sulla legge 40 e sul testamento biologico per “disarmare” lo scontro laici-cattolici e dare risposte positive alla forte domanda di diritti che proviene dalla nostra società. Le risposte non si sono fatte attendere: levata di scudi dal Pdl, Udc e Binetti varie che minacciano di stracciare subito le presunte alleanza dell’altrettanto presunto “terzo polo”, sparo ad alzo zero del quotidiano dei vescovi Avvenire e silenzio del Pd (ma a questo ci siamo abituati).


la notizia in se non ha avuto grande rilievo di stampa, ma ce ne occupiamo perché sono temi che ci appassionano e sui quali il congresso Idv ha detto parole chiare unanimemente condivise. I diritti delle coppie conviventi, per esempio, e delle coppie omosessuali in particolare hanno trovato soluzione giuridica in moltissimi paesi occidentali. Solo per citare le ultime notizie ricordiamo la sentenza di un giudice californiano che ha dichiarato illegittimo il risultato del referendum che aveva cancellato la legge sui matrimoni fra gay voluta dal Parlamento locale, in Messico la Corte Suprema ha dato il via libera ad una legge analoga, in Argentina nonostante l’opposizione della chiesa locale (peraltro compromessa nel rapporto con la dittatura) il Parlamento ha varato una legge che riconosce i diritti delle coppie omosessuali come nella Spagna di Zapatero. In Europa le leggi che riconoscono i diritti delle coppie omosessuali sono in vigore dappertutto tranne che in Italia e in Grecia. Laddove sono state approvate hanno avuto un grande successo e si sono consolidate nella cultura e nel costume. In Francia, ad esempio, il Pacs (Patti Civile di Solidarietà) ha superato un anno fa il numero dei matrimoni tradizionali, segno che il “pluralismo” degli istituti giuridici in campo familiare non è più soltanto una richiesta del movimento lgbt, ma un bisogno della società nel suo complesso.


D’altra parte si stanno moltiplicando gli episodi di vere e proprie discriminazioni legati alla mancanza in Italia di una legge che riconosca la pari dignità di ogni nucleo familiare: si va dal rifiuto di consentire al convivente la visita al proprio partner in ospedale alla cacciata dall’abitazione del partner del convivente deceduto.


La destra quando dice no ad una nuova legge in materia di diritto di famiglia straparla di presunte minacce alla famiglia tradizionale e alla sua stabilità. Si arriva persino a dire, come ha fatto il sub ministro Giovanardi, che occorre privilegiare la famiglia tradizionale rispetto agli altri nuclei familiari, come se tra i conviventi, etero od omosessuali che siano, non ci fossero esseri umani in tutto e per tutto uguali agli altri e con gli stessi diritti. La verità è che laddove le leggi di tutela sono state approvate si è assistito alla felice convivenza tra le varie forme di famiglia con grandi benefici per la società e per le persone coinvolte. Ed è per questo che è giunto il momento di modernizzare anche il nostro paese riconoscendo quei diritti che sono ormai dati per scontati in tutti i paesi civili.
Franco Grillini.

martedì 10 agosto 2010

Tutto ciò è chiedre troppo? Di Massimo Donati




Ogni giorno il Partito Democratico ci dà mille motivi per pensare di rompere l'alleanza. Se, non lo facciamo, è solo perchè Italia dei Valori, con il suo primo congresso nazionale, ha fatto una scelta, quella della responsabilità di governo.

Questa è l'unica vera differenza, ad esempio, tra noi e Beppe Grillo, cui ci accomuna una visione analoga su molti temi. Noi vogliamo contaminare la politica italiana con le nostre idee, i nostri progetti, la nostra idea di Paese, non limitarci ad un dirompente ma poco costruttivo "vaffa".

Vogliamo assumerci la responsabilità di governare e contribuire a creare la vera alternativa. Ora per fare questo, siamo consapevoli che non possiamo uscire dalla logica di coalizione e che ciò comporta anche scendere a qualche compromesso. Questo, però, non ci esime, anzi in qualche modo ci obbliga, a sottolineare quanto non ci piace nel Pd e all'interno del centrosinistra, a partire dall'intervista rilasciata ieri dal vicesegretario democratico Enrico Letta.

Il ribaltamento di fronte del vicesegretario democratico sull'antiberlusconismo ne è la riprova.

Fino a ieri, infatti, in casa democratica dicevano che il nostro antiberlusconismo era un favore a Berlusconi. Ora, invece, il Pd scopre l'antiberlusconismo, perchè Berlusconi, quello con cui fino a ieri volevano dialogare per fare le riforme, è un pericolo per la democrazia e pur di sconfiggerlo, si deve essere pronti a fare patti con chiunque, ache con Fini.


Ebbene, ho come l'impressione che il Pd sia una barca alla deriva, senza idee o progetti. Per questo mi permetto di dare qualche suggerimento al vicesegretario Letta:

1) Il Pd deve rendersi conto, come spiega anche oggi Ilvo Diamanti su la Repubblica, che fino a quando non costruirà la casa del centrosinistra con progetti validi, non vincerà mai, perchè agli occhi del paese rappresenterà sempre il vuoto di idee e noi non smetteremo mai di ricordarglielo.

(Al riguardo, rendo noto anche a voi amici del blog, che da più di un mese Italia dei Valori ha chiesto un incontro al Pd e che, ad oggi, la risposta è stata un assordante silenzio).

2) Il Pd deve capire, come ribadisce sempre Ilvo Diamanti, che porsi come obiettivo quello di non andare a votare, mostrandosi davanti al paese terrorizzato dalla sfida elettorale, è un pessimo segnale.


3) Il Pd deve capire che deve smetterla di inseguire trame di palazzo, come sta facendo ora, e prepararsi alle elezioni, cominciando a costruire una coalizione di centrosinistra intorno ad un programma unitario. Se il centrosinistra tornerà al Governo è solo perchè è passato attraverso il voto degli italiani.

(Prima di andare al voto si può al limite provare cambiare la legge elettorale, ammesso e non concesso che ci siano i numeri per farlo.)

Questo è quello che il Pd deve fare. Prepararsi alle urne con una coalizione di centrosinistra coesa. Poi si può anche ragionare su un fronte nazionale di liberazione, ma come fronte momentaneo di forze che si uniscono per cacciare il tiranno, e non come coalizione che porti a termine la legislatura.

Come dice Di Pietro deve durare quanto il battito di ali di una farfalla, una volta riscritte le regole della democrazia e fatte le riforme, ognuno torna da dove è venuto.

Mi domando e vi domando, tutto ciò chiedere troppo?

Massimo Donati.

lunedì 9 agosto 2010

LE MONDE: SARA’ LA CORRUZIONE A FAR CADERE BERLUSCONI.





Il giornale francese dedica un articolo alla conclusione, data per certa, dell’esperienza politica del Cavaliere, e parla di “presente nauseante” per un governo ormai indebolito e sull’orlo di una crisi di nervi
Glorificare il passato per dimenticare presente e futuro?

Presenta così Le Monde l’iniziativa della Memoria di Silvio Berlusconi, che ha chiesto ai circoli della Brambilla di portare in giro per l’Italia i risultati del suo governo: il quotidiano francese va addirittura oltre, pronosticando la fine (politica) del Cavaliere sullo sfondo delle ultime inchieste che hanno coinvolto gli uomini del suo partito.

UN PRESENTE NAUSEANTE – Parla di presente nauseante, le Monde, ricordando gli ultimi accadimenti della politica italiana.


Giorno dopo giorno, le indagini plasmano l’immagine di un paese dove la corruzione ha contagiato tutti i poteri. C’è un ministro – Claudio Scajola – che deve dimettersi perché beccato a farsi pagare un appartamento da un imprenditore edile. Un altro – Nicola Cosentino – che cerca di montare una campagna denigratoria contro un alleato. E poi Denis Verdini che si interessa alle gare d’appalto per l’energia eolica in Sardegna. Altri ancora che lavorano spartirsi la torta degli appalti pubblici, come per la ricostruzione de L’Aquila o il 150enario dell’Unità d’Italia, associandosi in società segrete (la P3) che richiamano ricordi del passato, come quella P2 dai tempi della quale nulla sembra cambiato.



MAFIA E POLITICA
– Intanto si scopre nelle indagini sugli attentati a Falcone e Borsellino che pezzi di Stato hanno collaborato con Cosa Nostra nell’assassino dei due giudici antimafia, e in Lombardia la ‘ndrangheta si infiltra nel sistema sanitario. La corruzione e le infiltrazioni mafiose sono ormai all’ordine del giorno in Italia, ma soprattutto, scrive Le Monde, per Berlusconi il prezzo politico di scandali in questa stagione è pesante. Non riuscendo a resistere alla pressione da parte dell’opposizione, ha fatto dimettere tre membri del suo governo in due mesi. Il 29 luglio, ha consumato la rottura con il suo principale alleato, Gianfranco Fini, che ha deciso di rimanere come presidente della Camera dei Deputati anche se Berlusconi gli aveva ordinato di rinunciare. E la legge controversa per limitare l’uso delle intercettazioni prezioso per le indagini di corruzione e di mafia e impedire la pubblicazione sulla stampa non ha completato il suo iter parlamentare.


E’ LA FINE?
- In tali circostanze, Berlusconi può arrivare alla fine del suo mandato nel 2013? Gli scenari alternativi sono in aumento, si parla di “governo tecnico”, “grande coalizione”, mescolando la destra, il centro e la sinistra, oppure le elezioni anticipate che potrebbero rivivificare il mandato del Cavaliere spazzando via le aspirazioni dei suoi avversari.

Molto probabilmente nessuna delle ipotesi si realizzerà e Berlusconi zoppiccherà fino al 2013. Anche perché né gli alleati né gli oppositori sembrano in grado di prendere il potere approfittando della sua debolezza.

Pertanto – conclude Le Monde – l’agonia del berlusconismo potrebbe anche essere quella di tutto il paese, in balia ogni mattina per l’annuncio di un nuovo scandalo, combattuto tra la vergogna e il fatalismo.

“L’Italia ha gli anticorpi per resistere alla corruzione”, ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Anticorpi? Più che altro, sembra ormai essersi abituata.






venerdì 6 agosto 2010

Lettera a Vendola e Di Pietro: detronizzate il tiranno di Paolo Flores d’Arcais


Per un governo di salute pubblica

Con queste regole non ci può essere democrazia nel voto




Cari Antonio Di Pietro e Nichi Vendola,
in caso di sfiducia parlamentare al governo Berlusconi la vostra proposta è chiarissima e convincente: subito elezioni democratiche. Dove l’avverbio “subito” è importante, ma davvero decisivo è l’aggettivo: elezioni DEMOCRATICHE. C’è dunque una domanda a cui non potere (nonpossiamo) sfuggire: nella situazione attuale, e con ungoverno Berlusconi dimissionario ma in carica per “l’ordinaria amministrazione” (questo significa elezioni subito), le elezioni sarebbero democratiche? Io credo di no. Non sono democratiche elezioni in cui uno solo dei contendenti controlla totalitariamente la risorsa elettorale decisiva, la comunicazione (e l’informazione). Non sono democratiche elezioni in cui, in sinergia con la prima e già decisiva “anomalia”, chi ottiene la minoranza dei voti può avere in Parlamento una maggioranza schiacciante (e oltretutto nomina direttamente i “suoi” deputati e senatori ).

Lo pensate anche voi, o siete invece convinti che le elezioni sotto totalitarismo televisivo e con la legge elettorale “porcata” sarebbero comunque democratiche?


Non rinunciare a battersi

PERCIÒ, se volete (vogliamo) elezioni DEMOCRATICHE, anziché smaccatamente truccate,
dobbiamo prima volere, e ottenere, le CONDIZIONI perché le elezioni non siano una truffa. Primo: la restituzione al pluralismo dell’etere televisivo, bene pubblico per antonomasia – proprio come l’aria che si respira. Che al pubblico pluralismo è stato invece espropriato da Berlusconi, grazie a quella “cricca” ante-litteram che fu il suo sodalizio con Craxi. Secondo:una legge elettorale – sia essa maggioritaria o proporzionale – che eviti le mostruosità dall’attuale “porcata”. Io aggiungerei anche una legge sul conflitto di interessi, che in effetti esiste già dal 1957 ma è stata interpretata alla azzeccagarbugli e andrebbe quindi rinnovata in modo da essere inaggirabile, e l’abrogazione di tutte e leggi “ad personam”. Questi due ultimi provvedimenti sono certamente importanti per una democrazia degna del nome, ma i primi due sono assolutamente imprescindibili. Sia chiaro:qualora non si riuscissero a ottenere nemmeno le due condizioni minime che ho appena elencato, credo che si dovrebbe comunque partecipare al voto, anche in condizioni di democrazia
amputata (gravemente amputata, direi). In condizioni peggiori delle nostre, l’opposizione cilena discusse se partecipare al referendum voluto dal regime di Pinochet o boicottarlo, e per fortuna
decise per la partecipazione, e per lo sconfitto Pinochet fu l’inizio della fine. Ma ciò non toglie che le forze democratiche non possano rinunciare a battersi con tutte le loro forze perché le elezioni si svolgano in condizioni effettivamente democratiche. Una tale rinuncia aprioristica sarebbe davvero paradossale, anzi gravemente colpevole, quanto e più di un inciucio,perché fornirebbe avvallo a una situazione peggiore rispetto al peggior risultato che un inciucio potrebbe ottenere. Inciucio, perché non ci siano equivoci, che comunque non andrebbe accettato. Ma a maggior ragione, allora, non si può regalare al regime, senza lotta, addirittura di più: elezioni non democratiche sotto un governo Berlusconi in carica per “l’ordinaria amministrazione”. Né può valere l’obiezione che il ripristino delle condizioni democratiche minime non è obiettivo facile da raggiungere . È difficile, forse difficilissimo. Ma un’opposizione democratica che rinuncia alla lotta ha già rinunciato ad esistere. E difficilmente risorgerà improvvisamente e per miracolo nei giorni delle urne.


Guardare anche al male minore
NEPPURE può valere l’altra obiezione,che il quadro che avrei delineato è erroneamente drammatico, perché in fondo in queste condizioni abbiamo già votato, addirittura di recente, due anni fa. L’abissoche esiste tra democrazia autentica e totalitarismo compiuto è percorso da infiniti passaggi intermedi, dei quali i democratici più tiepidi e/o più irresponsabili invitano in genere a fidarsi come di “mali minori” che dall’abisso ci salverebbero, mentre invece ce lo avvicinano. L’ultima volta che abbiamo votato la caratura delle condizioni democratiche era già critica, per via della “porcata” e del duopolio Mediaset e Rai lottizzata. Ma lo schifo della lottizzazione è stato superato con gli stivali delle sette leghe dall’accelerazione totalitaria dei mass media ora tutti in mano berlusconiana: minzolinizzazione dell’informazione e uso intimidatorio-terroristico di “inchieste” tipo gli “inquietanti” calzini turchese di un magistrato che fa il suo dovere. Credo sarebbe folle sottovalutare la nuova soglia – varcata da Berlusconi con i suoi ultimi diktat televisivi – verso il totalitarismo descritto nei romanzi di Orwell.

Perciò, cari Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, se vogliamo elezioni democratiche dobbiamo volere un nuovo governo, anziché il governo Berlusconi in “ordinaria amministrazione”. Il dilemma non è tra elezioni o governo provvisorio ma tra elezioni democratiche ed elezioni non democratiche. Ovvio che tali, cioè non democratiche, potrebbero restare anche con un nuovo governo. E con ciò arriviamo al grande equivoco: tutti parlano di governo di transizione o governo tecnico, ma ciascuno intende una cosa diversa,in genere ritagliata sui propri interessi “di bottega”, e oltretutto lasciata nel vago, per tenersi le mani libere rispetto ad ogni possibile “inguacchio”: da un governo col Pdl a presidenza Tremonti ad un governo ad egemonia “centrista”.

Condizioni minime di democrazia
ECCO perché, cari Di Pietro e Vendola, credo che dovreste (dovremmo) partire dai contenuti: se
deve ripristinare condizioni minime di democrazia , un governo “provvisorio” deve togliere a Berlusconi il maltolto (monopolio televisivo) e dar vita a una nuova legge elettorale. È davvero bizzarro che la prima condizione non venga evocata da nessuno. Ma senza restituire l’etere televisivo al pluralismo non si vede che senso avrebbe un governo diverso dal governo Berlusconi! sempre elezioni truccate resterebbero, anche con una migliore legge elettorale. .
In secondo luogo dovreste (dovremmo) accordarci su quale legge elettorale.
Maggioritaria o ritorno al proporzionale? Personal-mente credo che l’uninominale a due turni, sul modello dell’elezione dei sindaci, sarebbe da preferire: senza quote nazionali residue, e con la possibilità di incorporare al primo turno delle primarie vincolanti (risparmio qui le “tecnicalità” che ho analizzato diffusamente alcuni anni fa). Ma comunque, una gerarchia di preferenze dovreste (dovremmo) averla, altrimenti l’alternativa alla “porcata” rimane una chiacchiera.


Quale governo?
INFINE (ma non per importanza): che tipo di governo? Con quali nomi? Un governo di “lealtà costituzionale” CONTRO Berlusconi, senza parlamentari, sembra il più “utopistico”, eppure è l’unico che potrebbe neutralizzare gli infiniti e frammentati “appetiti” che impedirebbero la nascita di un governo a lottizzazione tradizionale. E per presiederlo non mancano certo le figure istituzionali, da un governatore di Bankitalia a un ex presidente di Corte costituzionale.
Naturalmente una proposta di questo genere è una proposta di lotta, non di immediata trattativa con le altre forze politiche. Ma lo si può considerare un difetto? Vuol dire semplicemente che è l’opposto di ogni possibile inciucio, e questo a me continua a sembrare un pregio. Una proposta di lotta non è inevitabilmente velleitaria o utopistica. Proviamo a pensare a una grande manifestazione
nazionale per fine settembre che chieda “elezioni democratiche! fuori Berlusconi, governo di pluralismo televisivo, nuova legge elettorale”. Siete (siamo) davvero sicuri che non potremmo ripetere quanto avvenuto a san Giovanni nel settembre del 2002 e nel novembre del 2009, cioè un milione di persone in piazza? E questo non potrebbe influire su un Parlamento dove non pochi per opportunismo vorrebbero evitare elezioni immediate? E se poi la “soluzione” della crisi sarà diversa
da quella per cui la società civile democratica si sarà battuta, non si arriverà comunque al momento del voto (e delle precedenti primarie)con un patrimonio di lotte e di credibilità maggiore? Mentre limitarsi a dire “elezioni” (evidentemente senza aggettivi), mentre tutte le altre forze politiche
manipolano l’opinione pubblica con le ambiguità di un “governo tecnico”, a me sembra comporti assenza e sudditanza, che pagheremmo pesantemente il giorno che comunque si voterà.

Lo spettro della sconfitta
E ANZI pagheremo almeno per una generazione. Perché a me sembra che con incredibile cecità sieviti di vedere cosa accadrebbe se Berlusconi vincesse di nuovo le elezioni: non solo ladri e mafiosi
al governo e agli affari, Minzolini all’informazione, mignotte di regime ovunque. Ma Berlusconipresidente della Repubblica tra meno di tre anni, e tra nomine presidenziali e di maggioranza parlamentare ben più dei due giudici di Corte costituzionale che bastano ormai a Berlusconi per controllarla. Con il che non saremmo solo alla dittatura a vita di B, saremmo a un regime che strutturalmente gli sopravviverebbe a lungo. È questo che vogliamo? E di fronte a questo, possono
le forze di opposizione continuare a trastullarsi con i piccoli successi elettorali che ciascuna potrebbe lucrare rispetto all’altra, quando questo accadrebbe nell’orizzonte di una democrazia resa un deserto? Proviamo almeno a discuterne. Subito e soprattutto seriamente.


Risposta di Antonio Di Pietro
Il Pd non ci sta. Meglio le urne

Caro Flores,
rispondo all’appello che hai rivolto a me e a Vendola. Tu condividi con noi la necessità di andare al più presto alle urne per mandare a casa Berlusconi e il suo governo. Giustamente, però, fai notare che se non si realizzano prima “due condizioni minime” (parole tue), ovvero “modificare l’attuale legge elettorale “porcata” e togliere a Berlusconi il controllo totalitario dell’informazione”, sarà
molto difficile, se non impossibile, poi, vincere le elezioni.

Tu stesso, inoltre, fai notare che, fino a quando Berlusconi sarà al governo e avrà una maggioranza che lo sorreggerà, è inimmaginabile che il Parlamento possa emanare una nuova legge elettorale e una regolamentazione più democratica e plurale dell’informazione pubblica e privata.

L’utopia e la lotta

Tu stesso, quindi, per sfuggire a questa ferrea morsa, proponi l’avvento di un “governo provvisorio” o “governo di lealtà istituzionale” (come lo chiami tu) composto da personalità non della politica (e quindi non parlamentari e non appartenenti a partiti) che si sostituisca all’attuale governo berlusconiano ed emani leggi che soddisfino le suddette due “condizioni minime” per andare alle
elezioni.

Tu stesso, infine, ti sei accorto che la proposta da te avanzata è a tal punto “utopistica” (ancora parole tue) da ritenere che l’unica strada praticabile ora sia, in realtà, “una proposta di lotta” (sei sempre tu a parlare), ovvero “una grande manifestazione nazionale per fine settembre che chieda elezioni democratiche, fuori Berlusconi, governo di pluralismo televisivo, nuova legge elettorale”.

Insomma, un’altra manifestazione come quella del 2002 a Piazza Navona con Nanni Moretti o quella del 2009 per il “No B. day”.

Tutto qui? Mi verrebbe da dire.

Sia chiaro, sono d’accordissimo con te: sia per quanto riguarda l’analisi che la proposta. Sono a tal punto d’accordo con te che mi impegno qui per iscritto, nero su bianco, ad essere anch’io, e tutti noi dell’Italia dei Valori, della partita, pronti a mobilitare tutte le nostre strutture organizzative (e i due
milioni ed oltre di firme raccolte per i tre referendum – acqua, nucleare e legittimo impedimento – stanno lì a dimostrare la forza della nostra organizzazione).

Siamo pronti a tappezzare il Paese con manifesti per denunciare le nefandezze berlusconiane (cosa che, peraltro, stiamo già facendo).

Siamo pronti a investire ulteriormente nella comunicazione in Rete (da settembre partirà una Web Tv dell’Italia dei Valori).


Siamo pronti a girare (lo sono anche io personalmente e col megafono in
mano), per tutte le piazze e i mercati d’Italia per “chiamare alle armi” il popolo democratico per una nuova grande manifestazione.


Sogno e realtà
Detto questo, però – e con il rinnovato impegno a farlo per davvero – scendiamo entrambi dallenuvole e rimettiamo i piedi per terra:

Non esiste, e non potrà mai esistere, una maggioranza parlamentare che in questa legislatura abbia il coraggio di smarcarsi da Berlusconi per varare le due “condizioni minime” di cui tu parli;

Non esiste, e non esisterà mai, una maggioranza parlamentare disposta a dare la fiducia ad un governo di “lealtà istituzionale” formato da altissime personalità tecniche non provenienti dalla politica. Piaccia o non piaccia è così e non sarà certo una manifestazione pubblica in più a far cambiare idea ai mestieranti della politica che infestano il Parlamento.

Non esiste, e non può esistere, la possibilità che si realizzi un’inedita coalizione politica elettorale che veda insieme la destra di Fini e la sinistra del Partito democratico. Gli elettori di entrambi gli schieramenti li manderebbero a quel paese. La storia è storia e non si può scherzare con formule e formulette, calpestando i ricordi e le sofferenze;

Non esiste, e non può esistere, che l’attuale classe dirigente del Partito democratico si unisca a noi dell’Italia dei Valori, o alla Sinistra e Libertà di Vendola, per fare squadra insieme. Lo ha ripetuto Letta l’altro ieri e lo ha ribadito D’Alema ieri. I maggiorenti del Pd vedono me e Vendola come fumo negli occhi e, se potessero, ci farebbero fuori prima e peggio di Berlusconi.

Il Pd sta lavorando per costruire una nuova coalizione con l’Udc e con la resuscitata “balena bianca”, e ha già risposto picche alla mia proposta di costruire con l’IdV la coalizione del centrosinistra.

A Vendola faranno di peggio: renderanno un inferno la sua attività di governatore della Puglia, anche se, ovviamente, negheranno e smentiranno sdegnati. Senza contare quel che hanno fatto e faranno a Luigi De Magistris che non considerano della famiglia del centrosinistra solo perché ha fatto il suo dovere fino in fondo.

Così stando le cose, non ci resta altro da fare che rimboccarci le maniche e intanto partire da soli nella costruzione di un’inedita coalizione.

Oggi va bene anche una nuova manifestazione di piazza, ma per domani dobbiamo unire “le forze dei non allineati”, quelle della società civile, della Rete, magari anche dei “grillini”, soprattutto dobbiamo parlare al “popolo” – sia della sinistra che della destra – per far capire che la loro classe dirigente li sta tradendo e li sta usando.

Dobbiamo far sapere che Fini e i finiani non sono credibili perché hanno rotto con Berlusconi in nome della legalità e poi si sono alleati con Cuffaro e Lombardo e non hanno votato la sfiducia a Caliendo.

Dobbiamo far sapere che i maggiorenti del Pd, pur di non aver tra i piedi me o Vendola, si stanno “accasando” con Casini, Cuffaro, Lombardo e una miriade di altri personaggi impresentabili per la loro storia personale e politica.

Dobbiamo parlare anche al popolo del Nord per denunciare la grande truffa mediatica dei dirigenti della Lega che i fine settimana fanno i gradassi a Pontida e durante la settimana, a Roma, si spartiscono le poltrone e le prebende come e peggio della Prima Repubblica.

Le regole e il gioco
Insomma e in conclusione: è inutile cercare di cambiare da dentro le regole del gioco (legge elettorale, conflitto di interessi o pluralità dell’informazione). Non lo faranno e non ce lo faranno fare. Meglio attrezzarci da subito con una “coalizione alternativa” di nuovo conio per essere pronti ad affrontare le elezioni quando ci saranno, anche a costo di andarci con le attuali “regole capestro”,
piuttosto che sognare coalizioni di “lealtà costituzionale”, come utopisticamente e genuinamente le hai chiamate tu, o di “responsabilità nazionale”, come furbescamente le ha definite Casini con il chiaro scopo di andare lui al governo al posto di Berlusconi, cosa che molti del Pd sembrano già disposti a barattare, come hanno fatto per Vietti al Csm.

Per intenderci, caro Paolo, questa coalizione è già nei fatti.

E del Pd che ne facciamo, dirai tu. Non tutto è perduto. I maggiorenti del Pd conoscono solo la legge del più forte e noi dobbiamo sfidarli proprio su questo campo. Lavoriamo da subito alla costruzione di questa “coalizione alternativa” e vedrai che la “paura” di essere affiancati e superati da forze più fresche e più risolute li porterà a più miti consigli. Anche loro sanno, come tutti noi
dobbiamo sapere e avere ben presente, che è prioritario, per il bene del Paese, liberarci del clan piduista che fa capo a Silvio Berlusconi. Quindi dobbiamo tutti rassegnarci a convivere tra noi per arrivare all’obiettivo.

Alla fine, arriveranno, speriamo non a tempo scaduto, anche i pachidermi del
Pd.


Saluti Antonio Di Pietro.

giovedì 5 agosto 2010

Come sempre avviene i successi di IdV vengono oscurati dai midia.




Sono circa due milioni e trencentomila le firme raccolte da Italia dei valori e depositate in 350 scatoloni in Corte di Cassazione, in calce ai quesiti referendari che chiedono l'abrogazione delle leggi del governo Berlusconi sul legittimo impedimento processuale, sulla ripresa di produzione in Italia di energia nucleare, sulla privatizzazione dei servizi di gestione dell'acqua.

«Abbiamo ritenuto un nostro preciso dovere - scrive il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, sul suo blog - impegnarci per contrastare alcune nefandezze di questo governo: privatizzazione dell'acqua, legittimo impedimento, ritorno al nucleare.

Abbiamo posto fiducia nella capacità del partito di rispondere positivamente a questo impegno. Abbiamo creduto nella risposta dei cittadini italiani». Gli scatoloni sono arrivati su 5 furgoni, scortati da Di Pietro.

La maggior parte delle firme che l'Italia dei valori ha consegnato in Cassazione, circa 800mila, sono state raccolte per il quesito referendario che chiede l'abolizione del legittimo impedimento. Sono 750 mila quelle contro la privitizzazione dell'acqua e, poco meno (740 mila) quelle contro la legge delega sul nucleare.

Ora, una volta certificata la legittimità delle firme il superamento del quorum minimo per la consultazione, la Cassazione dovrà trasmettere gli atti alla Consulta per la validazione costituzionale dei quesiti proposti.

Noi a Lenola abbiamo optato per una scelta diversa, abbiamo preferito privilegiare il problema dell’acqua rispetto il legittimo impedimento e il nucleare, una scelta che penalizza il nostro gruppo all’interno del partito ma rafforza i rapporti d’intesa e i futuri progetti squisitamente legati al territorio.

mercoledì 4 agosto 2010

Ecco chi è Caliendo:





"Giacomino" (così Caliendo è chiamato dagli amici) è indagato nel processo sulla P3 per violazione della Legge Anselmi (legge nata ad hoc per le associazioni massoniche. Nacque, infatti, ai tempi della P2), in quanto più e più volte il nome del Sottosegretario compare nelle intercettazioni (gli scherzi del destino: Caliendo è il relatore del Ddl sulle intercettazioni …): si pensa a pressioni sulla Corte per far passare il Lodo Alfano e pressioni per far riammettere la lista Formigoni.

E’ a lui, infatti, che il 23 settembre telefona Pasquale Lombardi (uno dei tre, già arrestati) per ragguagliarlo sulla questione Corte Costituzionale: “E poi stasera chiamo Antonio perché abbiamo fatto un discorso anche per quanto riguarda la Corte Costituzionale […] Amm’ fa’ nu poc’ na conta a vedé quanti sonn’ i nostri e quanti son i loro, per cui se potimm’ correre ai ripar’, mettere delle bucature, siamo disponibili a fare tutto [… ] e poi giustamente abbiamo fissato che ogni giorno, ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra i noi e vedere ando sta o’ buono e ando sta o’ malamente”. E poi il 1 ottobre, quando a parlare con Lombardi è Algina Ferrara, segretaria di Caliendo: “Ah, poi a Giacomino glielo dici senta devi sta là perché ce sta pure Carbone (presidente della Corte di Cassazione, ndr)” . “A che ora?”, chiede la donna, “Alle due precise! Due meno un quarto”, replica Lombardi. Più tardi i due si risentono: “Sono fatti importanti che lui non si può sottrarre! – afferma sempre il faccendiere Lombardi – Perché non è un fatto… per il Parlamento che so cazzi per altri! Stavolta sono per cazzi suoi! Hai capito?”.

Come abbiamo detto, però, Caliendo si interessa anche alla vicenda che coinvolge Roberto Formigoni e la sua lista, “Per la Lombardia”, per un periodo esclusa per vizi formali dalle elezioni regionali dello scorso marzo.

Anche in questo caso Lombardi si sente più volte con Caliendo: ”Ma tu l’hai sentito che la… Formigoni è stato… non è stato […] hanno rigettato la lista! L’hai sentito? […] ho chiamato pure già a Fofò! Pe vedè come si può apparà qua! Domani mattina tengo appuntamento con l’avvocato di Formigoni in modo che devo vedere il tipo di ricorso che hanno fatto com’è”. E ancora: “Io già ho mandato a dirglielo da Santamaria a Fofò che chiamasse a ’sti tre quattri sciemi e non dessero fastidio”. Ci si chiederà: chi è “Fofò”? E’ Alfonso Marra, Presidente della Corte d’Appello di Milano, fatto eleggere dalla cricca e poi contattato per intervenire a favore del ricorso della lista.

Il 2 marzo Lombardi si reca a Milano e dopo avere incontrato il collaboratore di Formigoni informa Caliendo: “[… ] niente, niente ancora perché ho parlato con Fofò, Fofò tiene la camera penale… devi chiamarlo […] tiene la camera di consiglio […] e là non si può muovere però tu dovrai chiamare e devi intervenire dopo le due nella commissione che deve vedere il ricorso di coso (di Formigoni, ndr)”.
Caliendo non è molto convinto di quest’intervento: “Sì ma non lo fa, non lo fa… già c’ho parlato”, ma Lombardi insiste: “Embè è fesso allora… che cazzo […] chiamatello… e non se può mai… tanto io già gliel’ho detto gli lascio anche una copia qua, capito! Una copia del ricorso”. In pratica, dunque, il ricorso per la lista è stato redatto dalla cricca stessa. Tant’è che il pomeriggio dello stesso giorno Marra telefona a Lombardi entusiasta del documento: “E’ fatto benissimo, per dinci, nulla da dire”.

Sappiamo bene, però, come sono andate le cose: il ricorso viene rigettato. Ma la cricca non si perde d’animo e contatta Arcibaldo Miller, capo degli Ispettori presso il Ministero della Giustizia, affinché intervenga.

Intanto Lombardi e Arcangelo Martino (anche lui arrestato) monitorano la situazione. Vogliono sapere quando il sottosegretario Caliendo pensa che verrà ordinata l’ispezione: “Ma lui che ti ha detto Giacomo ieri che quando si poteva i… ipotizzare” – “Subito come il Ministro arrivava a Roma… deve stare il Ministro a Roma per dare l’incarico” risponde Lombardi, che, poco dopo, aggiunge per tranquillizzare Martino: “Ho chiamato a Giacomino per dirgli state provvedendo a questo? Giacomo mi ha risposto di sì”. “E io mo vado a vedere il Ministro per dire oh corri a Roma (inc)… tengo a Giacomino che mi fa da spalla e stiamo a posto”.

Questo bastava per capire cosa fare? Votare la mozione di sfiducia o astenersi? Questo NON era un dilemma. O almeno non doveva esserlo.

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