
Bindi, Letta, Marini, Franceschini, per le prossime elezioni, quando si faranno, dovrete accontentarvi di Vendola e Di Pietro, sperando che non riusciate a farvi detestare, perché oggi Fini è stato chiaro, a voi non ci pensa proprio!!!! write26
Nell'atteso discorso alla Festa Tricolore il presidente della Camera parla per ottanta minuti. Attacchi al premier, ma non c'è l'annuncio del nuovo partito. "Da noi niente ribaltoni, ma il partito deve rinascere". Scontro coi colonnelli. "Sì al Lodo, ma niente leggi ad personam". "No a un federalismo contro interesse di tutti. Priorità a economia e occupazione". Sulla campagna del Giornale: "Attacchi infami contro la mia famiglia"
di PASQUALE NOTARGIACOMO
MIRABELLO (FERRARA) - Niente nuovo partito. Ma una sfida aperta al Cavaliere. Al quale chiede un nuovo patto di legislatura, fino al 2013. Ma sul quale fa cadere una dopo l'altra parole pesanti come macigni. Sulla giustizia, con lo slogan garantismo non è impunità; sulla politica estera, con l'attacco alle "genuflessiono" a Gheddafi; sull'economia, con il sostegno alle proteste di scuola e polizia; sulla concezione stessa di politica, ricordando al premier che "governare non è comandare".
Per Gianfranco Fini, Mirabello non è un posto come gli altri. Questo è "il luogo delle emozioni". Lo dice all'inizio del suo attesissimo discorso. Le emozioni di ieri e dell'altro ieri sono niente in confronto a quella di oggi. Ottanta minuti in cui il presidente della Camera ritrova se stesso (dopo 36 giorni di silenzio pubblico) e il suo esercito. Senza più colonnelli o capitani. Ma con il fermo proposito di portare avanti la battaglia di Futuro e Libertà. Non per tornare in un partito, il Pdl, che non esiste più avendo tradito il suo stesso nome, con l'espulsione illiberale del 29 luglio. Ma neanche, non ancora per lo meno, per dare vita a un nuovo soggetto politico, come speravano molti dei militanti. Malumori che, al momento di lasciare la piazza, qualcuno ha esternato nei commenti con il proprio vicino.
La sfida a Silvio Berlusconi ha i connotati di un nuovo patto di legislatura, per scongiurare quelle elezioni anticipate che sancirebbero un fallimento di entrambi. Le condizioni però sono al rialzo: non è il più il tempo dell'acquiescenza o della subalternità alla Lega. Si va avanti ma senza ultimatum e senza perseguire obiettivi che non erano nel programma e non corrispondono ai bisogni reali del paese: la priorità va all'economia. E non alla questione della giustizia: il garantismo, ripeterà più volte Fini, non significa impunità permanente. Tutto questo senza lasciarsi condizionare da ultimatum o intimidazioni che sottolinea il presidente della Camera, quando come in queste settimane prendono di mira la famiglia (attraverso una vera e propria "lapidazione"), non sono altro che un costume tipico degli "infami".
Lo scambio emozionale tra la piazza e il suo leader è costante durante tutto il discorso. Il presidente della Camera fa diverse concessioni alla pancia e al cuore del suo uditorio. Prima di tutto, come ogni team che si rispetti, tutta la squadra di Futuro e libertà viene presentata dal deputato Luca Bellotti. Applausi per tutti e ovazione per Mirko Tremaglia, il legame più solido con la storia che fu. Non è tempo per buoni o cattivi, come canta Vasco Rossi, in uno dei brani della colonna sonora scelta dagli organizzatori. L'attesa però si scioglie soltanto quando arriva il presidente della Camera. Sale sul palco dopo che hanno portato i loro saluti emozionati il padrone di casa Vittorio Lodi, organizzatore di 29 edizioni della festa Tricolore, il giovane Giuseppe Tatarella, che cita il padre Pinuccio, in quello che è un altro omaggio alla memoria della destra di casa nostra. E Chiara Moroni, che è invece un'iniezione di novità culturale e politica da sottolineare.
Il resto si consuma, appunto, nel rapporto tra l'uditorio e il presidente della Camera. Che sa evocare sapientemente gli umori della piazza di casa. Sale sul palco alle 18.26 e ci vuole almeno un minuto prima che riesca a prendere la parola, sommerso dal boato e dal coro "Chi non salta Berlusconi è!". E cita subito un "grande uomo", quel Giorgio Almirante che nella stessa piazza aveva auspicato un salto generazionale aprendo la strada alla successione del suo Delfino. Primo applauso convinto, così come quando Fini prende di mira due tagli particolarmente sgraditi della manovra economica: quelli alle forze di polizia culminati nella manifestazione di Venezia e quelli alla scuola che hanno provocato le "giuste proteste dei precari", condannati alla lotteria delle cattedre. L'attacco al ministro Gelmini non è roba da poco. Come quello riservato alla Lega sulle quote latte, e sui veti posti ai provvedimenti sulla liberalizzazione delle municipalizzate e sull'abolizione delle province.
Ma è in almeno altre due occasioni che il presidente della Camera parla davvero alla pancia del suo pubblico. Quando definisce poco decoroso lo spettacolo offerto dalla visita in Italia del Colonnello Gheddafi: uno, dice Fini, che non può insegnare niente né sulla libertà della donna, né sui diritti civili. E' la condanna della "genuflessione" che i finiani aspettavano dalla mattina. Prima ovazione. La seconda ancora più convinta si materializza quando è a essere evocati sono "quei colonnelli o capitani, che hanno soltanto cambiato generale e magari sono pronti a cambiarlo di nuovo". E' standing ovation mentre a parecchi ex An dovranno essere fischiate le orecchie.
La parte restante riguarda il duello a distanza con il presidente del Consiglio. Le colpe di quest'ultimo sono note. La più grave è aver decretato un'espulsione illiberale, "da libro nero dello stalinismo", del cofondatore del Pdl e dei suoi seguaci, durante l'ormai famoso ufficio politico del 29 luglio. Un atto "lesivo della dignità del partito stesso", sottolinea Fini, degno di chi non ha ancora compreso che "in democrazia non ci sono eresie". E che "governare non significa comandare" come succede per le aziende di famiglia. Ecco perché il Pdl non esiste più. Esiste il partito del Predellino o Forza Italia allargata, sono le due definizioni coniate dal presidente della Camera. Va da sé che rientrare in ciò che non esiste più non è possibile. Fli va avanti, ancora senza un proprio partito. Senza cambi di campo e senza l'obiettivo della ricomposizione o peggio del "perdono" forzato. Un segnale di compattezza, a quanti "dilettandosi di ornitologia", scherza Fini ci dividono in falchi e colombe.
I contenuti del nuovo patto di legislatura - che secondo Bersani somiglia più che a una proposta al vecchio gioco del cerino - sono già destinati a far discutere. Capitolo giustizia: la magistratura è un caposaldo della nostra democrazia, premette Fini, anche se ci sono alcune mele marce. Fatto salvo l'obiettivo di tutelare le alte cariche dello Stato, non sembrano percorribili ipotesi (come la norma provvisoria contenuta nel provvedimento sul processo breve) che cancellano tanti procedimenti colpendo cittadini che aspettano da anni di veder riconosciuti i propri diritti. Uno stop alla norma a cui sta lavorando la maggioranza con il consigliere giuridico del premier. Quel Niccolò Ghedini a cui il presidente della Camera riserva l'immagine del Dottor Stranamore che "dovrebbe risolvere una cosa e non lo fa mai". Altro punto contestato, eppure sempre nell'agenda di governo, il federalismo che è accettabile, precisa Fini, solo a patto di non penalizzare il Sud. Non manca un accenno anche alla legge elettorale, con un mea culpa per un sistema che riserva agli elettori non più la sovranità popolare ma un "prendere o lasciare". Un passaggio che farà arrabbiare Umberto Bossi.
Infine, l'economia. Contrastare la crisi non basta, è il monito di Fini, bisogna far ripartire il paese. Tremonti è avvisato. "Fa piangere il cuore un ragazzo su 4 non lavori", rileva il presidente della Camera, "colpa anche di chi contrabbanda per flessibilità una precarietà eterna". Mentre sulla mancata nomina del ministro dello Sviluppo Economico ormai, scherza il presidente della Camera, aspettiamo l'oracolo di Delfi.
Il finale è ancora un richiamo al cuore della platea, a quello di quando avevamo 18/ 20, dice Fini ai suoi. E a valori tradizionali della destra come il senso della patria e l'etica del dovere. "Se è un uomo non ha fiducia nelle sue idee e non è pronto a impegnarsi per esse o non valgono nulla quelle idee o non vale quell'uomo". Scatta l'applauso che chiude il discorso. Titoli di coda con il presidente della Camera che beve finalmente un bicchiere d'acqua e si rilassa cantando l'inno, complimentato dai suoi. Spunta ancora il sempre eterno Tremaglia, sorretto a fatica, ma ancora con il tricolore in mano.
(05 settembre 2010) fonte: larepubblica.it
9 commenti:
Bindi, Letta, Marini, Franceschini, per le prossime elezioni, quando si faranno, dovrete accontentarvi di Vendola e Di Pietro, sperando che non riusciate a farvi detestare, perché oggi Fini è stato chiaro, a voi non ci pensa proprio!!!! write26
Ieri sera mi sono ritrovata a battere le mani a sostegno di Fini.
Incredibile,mi sono detta,siamo messi proprio male se applaudo un personaggio di destra.
Poi,come spesso avviene,a mente riposata,non sono riuscita a dare un senso al discorso.Cosa vuole Fini?? Il classico due piedi in una scarpa?? Tanta attesa per questo discorso e poi restare delusa.
“Si sa che la gente dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio": cantava Fabrizio De André in “Bocca di rosa”.
E’ il primo pensiero che ho avuto quando i giornalisti mi hanno chiesto di commentare il trattato sull'incoerenza esposto a Mirabello da Gianfranco Fini.
Il presidente della Camera ha attaccato Berlusconi e il berlusconismo con un discorso che, per lunghi tratti, sembrava scritto dall'Italia dei Valori. Ma non si può giocare a fare l'Antonio Di Pietro per un giorno a settimana, e stare gli altri sei dall’altra parte della barricata.
Fini, più che prendere le distanze dal Pdl, ossia da se stesso, si è proposto come il nuovo che avanza nel centrodestra, dimenticando, però, che è stato fedele alleato di Berlusconi per 16 lunghi anni. Per tutto questo tempo, Gianfranco Fini ha contribuito in modo diretto e determinante ai successi personali del Premier e alle disfatte del Paese.
Fini ha dato all'Italia i condoni edilizi e fiscali nel 2003, votando con Berlusconi.
Fini ha approvato lo Scudo Fiscale nel 2009, votando con Berlusconi.
Sempre Fini, che ieri ha parlato dei precari della scuola, ha partecipato (poiché al Governo) ai decreti legge firmati Gelmini che hanno partorito migliaia di nuovi precari nel mondo scolastico.
Ancora Fini ha fatto in modo che il Paese diventasse a uso e consumo del Premier votando almeno 18 leggi ad personam, dal digitale terrestre alla legge Cirielli, dalla legge Pecorella al lodo Alfano.
Non capisco se il Presidente della Camera, col suo discorso a Mirabello, prenda per scemi gli italiani, oppure sia subentrata in lui una profonda crisi di coscienza e di identità che lo ha spinto verso un improvviso ravvedimento operoso.
Anche in questo secondo caso non può certo proporsi come alternativa al berlusconismo.
I pentiti, anche se tali, non possono pretendere di diventare i leader dell'antimafia.
Fini ha condiviso per troppo tempo il comodo talamo del Pdl, che c’è e opera a pieno regime dal 1994, e non può tornare indietro. Il suo obiettivo, ne deduco, sia non tanto la proposta di cambiare il Paese, quanto la successione a Berlusconi.
Un piccolo indizio ce lo ha già dato durante il discorso, infatti se lasci un partito pieno di indagati e condannati, non puoi avvicinarti ad un partito il cui massimo esponente si chiama Salvatore Cuffaro. Mi sembra una contraddizione in termini.
L'Italia dei Valori rimane scettica nei confronti di un’alta carica dello Stato che polverizza l’operato del Governo ma, allo stesso tempo, promette di rimanergli fedele.
A Mirabello Fini si è anche lasciato andare all'emozione dicendo: "Fa piangere il cuore il fatto che un ragazzo su quattro non lavori", peccato che se i tre disoccupati avessero avuto modo di parlare, Torino docet, gli avrebbero chiesto volentieri cosa ha fatto lui negli ultimi anni per loro.
Nonostante tutto ciò, gli italiani sarebbero disposti a riconoscergli l’onore delle armi a patto che ora Fini dimostri coerenza, facendo seguire alle parole i fatti e sfiduciando Berlusconi. Diversamente potremmo definirlo un comune quaquaraquà.
Antonio Di Pietro
Oggi il Giornale di Feltri ha dedicato le prime 15 pagine a Gianfranco Fini, e a noi, che malediciamo Berlusconi tutti i giorni, manco una, …………che STRONZI!!
Eh Si cara Minny, anche Fini finalmente ci è arrivato, bastava leggere solo sette dei dieci comandamenti partendo dal quarto per capire, Mosè li apprese qualche migliaio di anni fa sul monte Sinai e li incise scalpellando un paio di pezzi di marmo, Fini li ha scoperti a Mirabello dopo aver frequentato negli ultimi sedici anni cattive compagnie, prima ancora Gasparri, Storace, Alemanno, La Russa sui quali condivido il suo giudizio.
L’ex Presidente di AN ha parlato per ottanta minuti di acqua calda, argomenti scontati in qualsiasi parte del modo occidentale, dichiarazioni che hanno subito suscitato le ire di Berlusconi (unica persona al mondo fermamente convinta che sia lecito fare come cazzo ti pare) e l’apoteosi di Letta (nipote l’altro, lo zio, si è incazzato) Franceschini, Bindi, Fassino che finalmente “pare” abbiano trovato un leader nel quale riconoscersi, un leader che neppure li caga.
Questi cara Minny sono quei politici, miracolati, nominati dai partiti, gli stessi che dovrebbero cambiare la legge elettorale, quelli che invitano Schifani (un cognome che è una garanzia per chi lo porta) e stigmatizzano i movimenti, il popolo viola, le agende rosse. Siamo messi bene.
Forse Berlusconi rappresenta il male minore, prima o poi riusciremo anche a togliercelo dai coglioni, ma questi? Di questi qui, associati a D’alema, Bassolino, Veltroni, Loiero, De Luca, Latorre (il pizzinaro) riusciremo mai a liberarcene?
I militanti del Pd, QUELLI BEN INDOTTRINATI, alla festa democratica, hanno applaudito sia Di Pietro che Casini, avranno capito che questi due politici hanno idee e programmi non compatibili? L’anno scorso hanno applaudito Fini, il prossimo anno applaudiranno anche Topolino, tu che dici sono militanti veri o li pagano?
Spero proprio che questo governo non cada, che continui a galleggiare per altri tre anni, perché il vaccino suggerito da Indro Montanelli, sembra che ancora non abbia fatto effetto.
Ciao write26
GRANDE WRHITE!!!!!!!
Che dicevo Minny, ovazioni per tutti, l'anno prossimo ci andiamo anche noi, magari portiamo anche zonacesarini, chissà magari fa un salto di qualità ed esce dall'anonimato.
Ovazione per Nichi Vendola, governatore della Puglia e candidato alle primarie, non ancora indette, per la premiership del centrosinistra, alla Festa nazionale del Pd a Torino.
Il governatore pugliese, prima del faccia a faccia con Rosy Bindi, è stato accolto in una sala strapiena di gente nonostante il maltempo.
7 settembre 2010 | 21:23
Torino, 7 set. (Apcom) – “Sono rimasto perplesso sulla reazione di Bersani su Melfi, non capisco che significa dire che c’è differenza tra chi sta nell’Ottocento e chi sta nel terzo millennio, io non ci sto, non penso che il diritto di sciopero sia un retaggio bolscevico”. Lo ha detto Nichi Vendola al dibattito con Rosy Bindi alla Festa democratica a Torino. “Nessuno nel Pd ha mai messo in discussione il diritto di sciopero” ha risposto Bindi.
“Si ma su Melfi – ha ribattuto Vendola – dovremmo essere molto più chiari, perchè la partita, politicamente e non retoricamente è una battaglia importante. Quando leggo Enrico Letta mi corre un brivido per la schiena. Gli oggetti sul tavolo devono essere chiari, il lavoro e i diritti per primi”.
Un partito si definisce tale quando raggruppa più cittadini sotto due aspetti determinanti: la coerenza e il programma. Sono l'unica identità di un partito politico che senza coerenza e programma, dunque, non ha ragione di esistere, se non per inseguire fini individuali.
In queste ore sto assistendo ad una corsa sfrenata alla strumentalizzazione della mia posizione circa la contestazione torinese a Schifani. Pd e Udc, in realtà, sembra stiano solo cercando di trovare una giustificazione da offrire ai propri elettori su una scelta già fatta.
Proprio per questo, e per evitare confusione nell'elettorato, voglio ribadire che l'Italia dei Valori non è contraria ad un'alleanza con l'Udc per "partito preso", come i media vogliono far intendere. Siamo distanti dal partito di Casini per divergenze sostanziali nei punti programmatici. Nell'Udc mancano quei due aspetti determinanti che devono appartenere ad un partito: la coerenza e il programma. Non c'è coerenza in un partito che, dopo aver abbandonato Berlusconi, sarebbe tornato di corsa al governo qualche settimana fa se non fosse stato per il rifiuto della Lega.
Vorrei sapere sul secondo aspetto, quello del programma, cosa pensa Casini in particolare di alcuni punti cardine dei nostri valori.
- il primo: se intendono rinunciare al nucleare e a proporre politiche per la tutela dell'ambiente (raccolta differenziata, energie rinnovabili, no agli inceneritori,..).
- il secondo: se vogliono l'acqua pubblica, senza farsi influenzare dalle lobby collegate al partito e a Caltagirone.
- il terzo: se accettano senza riserve la regola della non candidabilità dei condannati (un presupposto che dovrebbe stare alla base di un partito che si ispira a valori cattolici come l'Udc, che invece ha fra i suoi eletti il senatore Totò Cuffaro).
- il quarto: se intendono lavorare per una legge elettorale nuova per mandare in soffitta la legge porcellum che proprio l'Udc votò contribuendo alla sua approvazione.
- il quinto: se intendono impegnarsi realmente nella lotta all'evasione fiscale, dopo aver contribuito (con la loro assenza in aula) a far approvare lo scudo fiscale.
- il sesto: se intendano metter mano una volta per tutte al conflitto di interessi, un cancro che oggi non affligge solo berlusconi ma tutta la classe politica del Paese.
Smarcati questi ed altri punti saremmo anche disposti a discutere di alleanze con l'UDC per un Governo, ma mi chiedo cosa rimarrebbe di quel partito, probabilmente solo lo scudo crociato. E' questo il motivo per il quale è impossibile pensare ad un'alleanza fra l'Italia dei Valori e il partito di Casini, o meglio di Cuffaro.
I partiti, come tali, possono decidere qualsiasi alleanza a dispetto dei propri elettori. Ma chi rispetta il ruolo di un partito e della politica non può ignorare i cittadini e le loro aspettative. E per noi i cittadini ed i nostri elettori sono tutto.
Postato da Antonio Di Pietro
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