Campodimele (LT) il paese della longevità

Campodimele  (LT)  il paese della  longevità
Tra l'indifferenza dell' Amministrazione Comunale, in assenza di controlli, In località Sterza Piana Lenola (LT) ai confini del Parco Naturale dei Monti Aurunci , a meno di trecento metri dalle abitazioni private, i cittadini, tutti i giorni, assistono a questo scempio che rende l'aria irrespirabile con inevitabili conseguenze sulla salute pubblica grazie a questo impianto allocato nel confinante comune di Campodimele

martedì 28 settembre 2010

ANNA FINOCCHIARO e l’insostenibile leggerezza dell’incoerenza.




“Così come ho messo la faccia quando mi sono candidata contro Raffaele Lombardo, oggi metto la faccia per dire quello che penso: il Pd in Sicilia sta facendo la cosa giusta al momento giusto. In questa fase il nostro partito dovrà essere vigile sentinella, ma anche protagonista incalzante del cambiamento“.

A parlare così non è un esponente del centrodestra o un ex amico deluso, ora figliol prodigo, di Raffaele Lombardo. A commentare la nuova alleanza di governo regionale tra il Partito Democratico ed il Movimento per le Autonomie è colei che fino a cinque minuti prima di questa abiura era la leader dell’opposizione in Sicilia, ovvero Anna Finocchiaro, candidata alla presidenza della Regione Sicilia nel 2008 con un programma elettorale scritto dal tangentaro craxiano Salvo Andò e sconfitta proprio da Lombardo con percentuali bulgare.

A quella corsa elettorale, anche se più che corsa era una passeggiata del ras catanese sui resti del Partito Democratico, c’ero anch’io. Candidata con una lista civica approntata al momento, appoggiata da Beppe Grillo e circondata da giovani pieni d’entusiasmo e addirittura incensurati (praticamente un delitto!), ero riuscita ad ottenere quasi 70.000 consensi, pari al 2,44% dei voti validi.

Un risultato straordinario che non può essere relegato a voto di protesta; era un voto di proposta, alternativo a Lombardo e alla stessa Anna Finocchiaro. Ricordo bene quando io e i miei ragazzi eravamo in segreteria ad aspettare trepidanti i risultati elettorali e invece la signora Finocchiaro era, come spesso aveva fatto durante la campagna elettorale, non in Sicilia ma Roma, nella veste di candidato al Senato. Giunse in Sicilia solo a metà spoglio. La senatrice del Pd, sostenuta dai partiti della coalizione totalizzò il 30,4% mentre Raffaele Lombardo il 65,3%; in provincia di Catania addirittura l’attuale presidente totalizzò il 72,3%. Mai nessuno aveva fatto peggio di lei nella storia siciliana. Ma fu una disfatta con l’air bag, visto che la signora venne impacchettata e spedita al Senato, lasciando con un palmo di naso gli elettori che l’avevano scelta per rimanere in Sicilia a fare opposizione nel caso in cui avesse perso.

Leggo e rileggo incredula l’Ansa del 24 febbraio 2008, quando l’allora candidata alla Regione Sicilia dichiarava che la candidatura di Lombardo sanciva “la perfetta continuità con il precedente governo. L’unico obiettivo è la gestione del potere in Sicilia. Si conferma – aggiungeva la Finocchiaro – una concezione del potere fatta di occupazione della cosa pubblica, di inefficienze e di sprechi. Oggi tutto è uguale a ieri: Lombardo come Cuffaro”. Dunque alla luce di queste dichiarazioni dovrei dedurre che quella che lei ora definisce “cosa giusta”, ovvero il sostegno a Lombardo, è un sostegno ideale al sistema, oggi scopertosi mafioso, di Totò Cuffaro? Bene, ma sarebbe il caso di dirlo anche agli elettori del Pd, e magari ai familiari di Pio La Torre, anche se ultimamente il partito che fu del compianto sindacalista preferisce stare con quelli come Schifani, che non sono proprio paladini dell’antimafia, anzi.

E ora, a due anni da quella macelleria elettorale, dal trionfo di Lombardo e dall’umiliazione della coalizione di centro sinistra, io, giunta terza a quella competizione tra “grandi” partiti, mi ritrovo tecnicamente unico esponente dell’opposizione al sistema Lombardo. Nel silenzio degli elettori e degli eletti infatti è stato compiuto il padre degli inciuci, benedetto dalle parole di colei che aspirava ad essere alternativa vera a Lombardo e a Cuffaro e che oggi ne è orgogliosamente alleata.

A differenza sua, in questa “nuova” veste di unico argine a Lombardo e al lombardismo, sistema non meno pericoloso del cuffarismo, intendo rispettare quell’impegno assunto non solo con le 70 mila persone libere che mi hanno scelta nel 2008, ma con tutti i siciliani e gli italiani che oggi spero di rappresentare degnamente al Parlamento Europeo. A differenza della signora Finocchiaro, oggi con il suo partito al governo della Sicilia assieme ai leghisti del Sud fautori di raccomandazioni e spintarelle, nonostante quella sconfitta sono rimasta qui a combattere una battaglia che oggi, nonostante la vittoria alle Elezioni Europee, continuo a portare avanti, e che oggi mi vede impegnata in un ruolo cui l’ex candididata ha vergognosamente e senza il minimo imbarazzo abdicato, ovvero leader del centrosinistra in Sicilia.

Cosa posso dire? Che come al solito, io,non fuggirò dai miei impegni né da quelli presi con gli elettori e che dunque da oggi in poi per me il Pd e Anna Finocchiaro sono miei avversari politici in Sicilia. Con la mia storia e con il mio passato non potrei guardarmi allo specchio vedendo riflessa, accanto a me, l’immagine di Raffaele Lombardo, che secondo la stampa è indagato per mafia a Catania.

Evidentemente Anna Finocchiaro non ha di questi problemi morali ed etici, e mi permetto di dire che non ne ha mai avuti, visto anche il suo forte sostegno alla candidatura di Michele Vietti alla vicepresidenza del Csm. Sostegno sul quale aspettiamo ancora delle risposte chiare, anche se forse la risposta l’abbiamo appena avuta dal maxi-inciucio. O forse la causa di questa grave disattenzione sull’etica e sulla moralità ha radici in comune con le vicende del suo amico Andò ( alle polemiche rispose “è una persona di grande livello culturale, un cultore di diritto pubblico. Non capisco”), che secondo alcuni collaboratori di giustizia si incontrava regolarmente con Nitto Santapaola, durante la latitanza del boss, e in cambio di voti gli prometteva “aiuti” nei processi, come ha confermato il braccio destro di Santapaola, Giuseppe Puglisi.

E che dire di quella lettera su carta intestata della Camera dei Deputati ritrovata in uno degli ultimi rifugi del boss prima della cattura: “Cari saluti, Salvo Andò“?

Cara Finocchiaro, tu dici di metterci la faccia, ma in realtà la faccia l’hai persa, e da parecchio tempo. Ora spetta a noi ricostruire un’opposizione vera a questa macedonia politica maleodorante.

Sonia Alfano, parlamentare europeo, indipendente nella lista IdV.

sabato 25 settembre 2010

E' nel nostro cuore e lo ricordiamo con affetto e nostalgia.





Il 25 settembre 1896, cioè 114 anni fa, nasceva Sandro Pertini, uno dei Presidenti della Repubblica italiana più amati dai cittadini.


L'Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si
colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame.
Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire. (Sandro Pertini)

martedì 21 settembre 2010

En coma y sin respirador MIGUEL MORA - Roma - 21/09/2010





La crisis de la izquierda en Europa ITALIA


Pese a la ilusión generada por el si puo fare veltroniano, la sensación actual es que el PD, más que un partido reformista de Gobierno, es una mayonesa mal ligada de ex democristianos y ex comunistas que buscan mantener sus privilegios. Los sondeos muestran que cada vez más italianos les identifican con la vieja política y no se fían de sus enredos. De hecho, en la última década la llamada izquierda solo ha ejercido el poder durante dos años, mientras Berlusconi ganaba las últimas cuatro elecciones.

Las sucesivas derrotas han dejado al PD en crisis permanente. Veltroni dimitió al final de 2008, luego llegó como interino el democristiano Dario Franceschini y en las primarias de 2009 resultó elegido secretario general un protegido del aparato sin carisma, Pierluigi Bersani.
El PD sigue tan dividido como siempre y sin atreverse a ser de izquierda. Apenas reúne un 25% de la intención de voto.


”Nonostante l’entusiasmo generato dal ‘si può fare’ veltroniano, la sensazione attuale è che il Pd, più che un partito riformista di governo, sia una maionese impazzita di ex democristiani ed ex comunisti, che cercano di mantenere i loro privilegi”. Lo scrive oggi il quotidiano spagnolo El Paìs, in un articolo sulla sinistra in Italia intitolato ‘In coma e senza respiratore’, e corredato da una foto di Walter Veltroni.

Il Pd, guidato dal segretario Pierluigi Bersani, ”uomo di apparato e senza carisma”, ”è diviso come non mai e non osa essere di sinistra”, prosegue l’articolo del corrispondente a Roma, Miguel Mora, in una pagina del giornale interamente dedicata alla ‘Crisi della sinistra in Europa’.
”I sondaggi mostrano che gli italiani sempre di più identificano il Pd con la vecchia politica e non si fidano. E difficilmente – conclude – il partito raggiunge il 25% delle intenzioni di voto”.
http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/pd-el-pais-partito-coma-554556/





venerdì 17 settembre 2010

Pd, 74 firme al documento di Veltroni Bersani: «Discutere nelle sedi giuste»




Nel testo sparisce la critica all'attuale leadership. L'ex segretario: la nostra è un'opinione politica e va rispettata

MILANO - «Il documento dei 74». È questo il numero dei parlamentari del Partito democratico che hanno firmato il testo promosso da Walter Veltroni, Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni. Un documento che chiede una correzione nella linea politica del Pd. «Ma non c'è nessuna intenzione di fare qualcosa di alternativo o che sia fuori al partito» assicura Marco Minniti. I parlamentari democratici sono complessivamente 319 (206 deputati e 113 senatori), di cui 146 avevano sostenuto Franceschini al congresso.

«NON NASCONO CORRENTI» - Nel testo finale sparisce la critica senza riserve alla linea del segretario Pier Luigi Bersani, quella parte cioè in cui si diceva che il Pd appare «un partito senza bussola strategica». «L'abbiamo corretto in corso d'opera - ha spiegato Minniti - quella frase non c'è più e dimostra che non vogliamo inchiodarci ai termini ma esprimere una preoccupazione». «Stupisce - aggiunge Minniti - che venga considerato come un elemento di divisione e di indebolimento, come un regalo all’avversario, cose che sono figlie di altre stagioni politiche». «Anche il tema della premiership - assicura Tonini - non compare nel documento, parliamo solo di linea politica». Resta invece l'intenzione di dar vita ad un movimento, che però «non vuole essere una corrente o uno strumento di lotta interna per spartirsi i posti, piuttosto un movimento di idee e di proposte dentro il partito ma con l’ambizione di parlare anche all’esterno». Le posizioni di questa area, in dissenso con la gestione del partito di Bersani, «saranno portate in tutte le sedi in cui il partito si esprime».

IL COMMENTO DI BERSANI... - Laconico il commento del segretario. I giornalisti gli chiedono se 74 firme per il documento di Veltroni siano troppe o poche. «A me va bene tutto - risponde Bersani - non ho fatto conti sul sostegno a questo documento». A Veltroni che ha accusato la dirigenza del Pd di aver perso la bussola, il segretario risponde: «Per me la bussola è rimboccarsi le maniche, andare avanti, fare le nostre discussioni nelle sedi giuste e nei nostri organismi. Adesso tutti assieme abbiamo il compito rilevantissimo che è quello di parlare di questo paese, dare una mano per quanto possiamo per tirarlo fuori dai guai e tenere alta la battaglia politica nel momento in cui tutti vedono che andiamo incontro a un periodo di ulteriore instabilità e minori risposte di governo.

...E QUELLO DI VELTRONI - Walter Veltroni, dal canto suo, ha precisato sul suo profilo Facebook il senso del documento. Ovvero, «rendere più grande e più aperto il Pd. Questo è l`unico obiettivo del documento ed è una posizione politica che, come tutte, va rispettata e discussa. Così succede in tutti i partiti democratici».

I PUNTI DEL DOCUMENTO - Nel documento si invoca una «coerente strategia riformista» che «può dunque contare su rilevanti forze sociali, unendole in un progetto che risponda ai bisogni dei più deboli facendo leva sui meriti dei più capaci. Questa strategia non può essere incardinata prevalentemente attorno a obiettivi di difesa della realtà presente, aggredita dall'attacco della destra populista. Al contrario: l'alleanza da promuovere è tra chi ha bisogno del cambiamento, ma da solo non può realizzarlo perché non sa, non ha, non può abbastanza e chi vuole il cambiamento, perché sa progettarlo, ha interesse a promuoverlo, ha le relazioni necessarie per realizzarlo, ha la forza necessaria per piegare le tante resistenze corporative che vi si oppongono». La critica dell'area di minoranza è al progetto del Pd: «Nulla sarebbe adesso più sbagliato e contraddittorio, che affrontare la crisi politica e culturale del berlusconismo, sulla base dell'assunto della immutabilità dei rapporti di forza nel Paese. Una visione così angusta e rinunciataria, così falsamente realista, spingerebbe i democratici ad arroccarsi in difesa, pigri e spaventati, quando è invece il momento di uscire allo scoperto e di avanzare proposte coraggiose e innovative. Esempi di questa mancanza di coraggio, di questa vera e propria involontaria subalternità ad un pensiero unico, sono per un verso l'ipotesi neo-frontista e per altro verso quella vetero-centrista: ipotesi che nel confuso dibattito interno al Pd tendono peraltro a mescolarsi, ad alternarsi in continue svolte e controsvolte, che offrono l'immagine di un partito che fatica ad esprimere una strategia nitida». Tra le proposte suggerite c'è la necessità di una «innovazione della proposta programmatica, che deve assumere con coraggio l'obiettivo di battere tutti i conservatorismi, compresi quelli, palesi e occulti, di centrosinistra, ponendo al centro il tema della democrazia decidente, attraverso le necessarie riforme istituzionali ed elettorali: rafforzamento dei poteri del premier e di quelli di controllo del Parlamento, regolazione del conflitto d'interessi, norme contro la concentrazione del potere mediatico e il controllo politico della Rai, differenziazione delle camere, riduzione del numero dei parlamentari, una legge elettorale, come si legge nel documento approvato dall'Assemblea nazionale del Pd del maggio scorso, 'di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali', insieme a norme sulla democrazia di partito e a una regolazione delle primarie per le cariche monocratiche».

I FIRMATARI - Ecco i 74 parlamentari, senatori e deputati del Pd, che hanno sottoscritto il documento: Marilena Adamo, Benedetto Adragna, Mauro Agostini, Emanuela Baio, Gianluca Benamati, Maria Grazia Biondelli, Giampiero Bocci, Costantino Boffa, Daniele Bosone, Daniela Cardinale, Renzo Carella, Marco Causi, Stefano Ceccanti, Mauro Ceruti, Carlo Chiurazzi, Pasquale Ciriello, Maria Coscia, Olga D'Antona, Luigi De Sena, Roberto Della Seta, Vittoria D'Incecco, Alessio D'Ubaldo, Enrico Farinone, Francesco Ferrante, Donatella Ferranti, Anna Rita Fioroni, Giuseppe Fioroni, Giampaolo Fogliardi, Mariapia Garavaglia, Enrico Gasbarra, Francantonio Genovese, Paolo Gentiloni, Roberto Giachetti, Paolo Giaretta, Tommaso Ginoble, Gero Grassi, Pietro Ichino, Maria Leddi, Luigi Lusi, Alessandro Maran, Andrea Marcucci, Andrea Martella, Donella Mattesini, Giovanna Melandri, Maria Paola Merloni, Marco Minniti, Claudio Molinari, Enrico Morando, Roberto Morassut, Magda Negri, Luigi Nicolais, Antonino Papania, Achille Passoni, Luciana Pedoto, Vinicio Pedoto, Mario Pepe, Flavio Pertoldi, Caterina Pes, Raffaele Ranucci, Ermete Realacci, Nicola Rossi, Simonetta Rubinato, Antonio Rusconi, Giovanni Sanga, Andrea Sarubbi, Achille Serra, Giuseppina Servodio, Giorgio Tonini, Jean Leonard Touadi, Salvatore Vassalo, Walter Veltroni, Walter Verini, Giuliano Rodolfo Viola, Walter Vitali.

Corriere della Sera redazione online
17 settembre 2010





giovedì 16 settembre 2010

Il massacro di Sabra e Chatila




Creato il 16 settembre 2010 da Iside
Tra il 16 e il 18 settembre del 1982 migliaia di palestinesi furono trucidati dalle milizie cristiane libanesi.
La guerra civile libanese che durò dal 1975 al 1990, influì anche sul conflitto palestinese.
Israele sostenne militarmente con armi e addestramenti speciali la comunità cristiana dei maroniti e l’esercito cristiano del Libano del Sud di Sa’d Haddad contro l’Olp e le forze armate siriane.
Chatila venne costruito nel 1949 per i rifugiati della guerra civile, si trova vicino al sobborgo Sabra di Beirut.
Il Sud del Libano era infatti diventato lo scenario in cui continuava il conflitto israeliano-palestinese.
Il 4 giugno 1982, un attentato all’ambasciatore israeliano Shlom Argov, ad opera del gruppo palestinese anti Olp Abu Nidal, fu interpretato come un attacco palestinese.
La guerra si aggravò, due giorni dopo Israele invase il Libano con 60.000 uomini. Motivazione?
Proteggere i propri insediamenti nel nord della Palestina. Ha così inizio l’operazione “Pace in Galilea” che null’altro consisteva se non invadere militarmente il Libano Meridionale, all’epoca il ministro della difesa israeliana era Ariel Sharon.
L’assedio a Beirut da parte degli Israeliani iniziò a metà giugno del 1982 con l’accerchiamento di 15.000 combattenti dell’OLP e dei suoi alleati libanesi e siriani all’interno della città:
Il presidente americano Reagan, all’inizio di luglio inviò Philip Habib e Morris Draoer con l’incarico di risolvere la crisi.
Le trattative erano estenuanti e molto lunghe, complicate dal fatto che gli Israeliani e gli Statunitensi non volevano discutere direttamente con i Palestinesi, i Palestinesi da parte loro asserragliati nella città non volevano abbandonarla, temendo forti ritorsioni da parte dei soldati israeliani e dei loro alleati falangisti nei confronti della popolazione locale.
Habib riuscì faticosamente ad ottenere dal Primo Ministro israeliano l’assicurazione che i suoi soldati sarebbero entrati a Beirut Ovest e non avrebbero attaccato i Palestinesi dei campi profughi, riesce anche ad ottenere l’assicurazione dal futuro presidente Beshir Gemayel che i falangisti non si sarebbero mossi, ed infine ottenne l’assicurazione da parte del ministero della difesa Americano che ci sarebbe stato un loro contingente a garantire gli impegni presi.
Il 19 agosto fu firmato l’accordo, ma con l’elezione a Presidente del Libano di Beshir Gemayel ( il 23 agosto) che gode dell’appoggio dei maroniti e di Israele, la situazione cambia.
Il 20 agosto, vigilia dell’imbarco dei primi miliziani palestinesi, che iniziano ad evacuare la città, negli USA viene pubblicata la quarta clausola dell’accordo per la partenza dell’OLP che dice:
"I Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie di sicurezza ... Gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto" (American Foreign Policy, Current documents, 1982, Dipartimento di Stato, Washington D.C.).
Arafat è preoccupato per la sorte della popolazione civile ed insiste per avere l’invio di una forza multinazionale che garantisca l’ordine. il 19 agosto 1982 la richiesta ufficiale viene consegnata dal ministro degli esteri libanese Fu’ad Butros agli ambasciatori di Stati Uniti, Italia e Francia.
Il piano che era stato fatto accettare dal mediatore Usa Habib a Libanesi, Palestinesi e Israeliani prevedeva l’intervento di 800 soldati statunitensi, 800 francesi e 400 Italiani in modo da garantire l’ordine durante il ritiro delle forze dell’OLP da Beirut. Il mandato durava un mese, dal 21 agosto al 21 settembre, rinnovabile su richiesta dei libanesi in caso di necessità.
Entro il 4 settembre, tutti i combattenti palestinesi sarebbero dovuti partire, in seguito la forza multinazionale avrebbe collaborato con l’esercito libanese per portare sicurezza durante le operazioni.
Il primo contingente arriva a Beirut il 21 agosto ed è composto di soli Francesi che nei due giorni successivi vengono raggiunti dai soldati italiani ed americani. Appena riuniti prendono posizione nella città.
Arafat decide di abbandonare Beirut insieme ai suoi 15.000 combattenti.
Il primo settembre termina l’evacuazione dell’OLP dal Libano.
Due giorni dopo, venendo meno al patto siglato con gli eserciti cosiddetti “supervisori” che nulla fecero per fermarli, le armate israeliane avanzarono e assediarono i campi-profughi.
Caspar Weinberger, segretario alla difesa americana, ordina ai marines di abbandonare Beirut.
E’ il 3 settembre.
Lo stesso giorno le milizie cristiano- falangiste, alleate degli Israeliani, prendono posizione nel quartiere di Bir Hassan, ai lati del campi profughi di Sabra e Shatila.
Partiti gli Americani, automaticamente anche i Francesi e gli Italiani tornano a casa.
Gli ultimi soldati partono il 10 settembre, undici giorni prima di quanto avrebbero dovuto fare, lasciando campo libero a Israele.
Il giorno dopo Ariel Sharon contestò la presenta di duemila guerriglieri dell’OLP ancora in territorio libanese, i Palestinesi negarono il fatto.
Il premier israeliano Begin convocò Gemayel a Naharuya per fargli firmare un trattato di pace con Israele, alcune fonti sostennero però che Begin chiese a Gemayel di permettere la presenza delle truppe Israeliane nel sud del Libano, Gemayel doveva inoltre dare la caccia ai duemila guerriglieri palestinesi la cui presenza era stata denunciata da Sharon.
Gemayel, non firmò il trattato, non poteva schierarsi da una sola parte anche a causa dei crescenti rapporti di alleanza con la Siria.
Il 14 settembre 1982, Gemayel fu ucciso in un attentato e nonostante i leader palestinesi negassero ogni responsabilità nell'accaduto, Sharon accusò i Palestinesi, facendo sollevare i Falangisti (il partito di Gemayel) contro la Palestina.
Il 15 settembre 1982, le truppe israeliane invasero Beirut Ovest.
Israele ruppe così l'accordo con gli USA, gli accordi di pace con le forze musulmane intervenute a Beirut e quelli con la Siria. Begin si giustificò dicendo che era una contromisura per "proteggere i rifugiati palestinesi da eventuali ritorsioni da parte dei gruppi cristiani"; tuttavia pochi giorni dopo Sharon affermò al parlamento che "l'attacco aveva lo scopo di distruggere l'infrastruttura stabilita in Libano dai terroristi".
E’ il 16 settembre 1982 quando Elias Hobeika, capo delle milizie critiano-falangiste entra nei campi profughi di Sabra e Shatila.
Alle 18 ha inizio lo sterminio.
Queste alcune testimonianze di reporter di vari giornali:
David Lamb scrive sul quotidiano The Los Angeles Times del 23 settembre 1982: "Alle 16 di venerdì il massacro durava ormai da 19 ore. Gli Israeliani, che stazionavano a meno di 100 metri di distanza, non avevano risposto al crepitìo costante degli spari né alla vista dei camion carichi di corpi che venivano portati via dai campi".
Elaine Carey scrive sul quotidiano Daily Mail del 20 settembre 1982: "Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L'odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l'uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore".
Loren Jankins scrive sul quotidiano Washington Post del 20 settembre 1982: "La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l'angolo, in un'altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti - dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 - raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull'altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche."
Testimonianza di Ellen Siegel, cittadina americana, infermiera volontaria, ebrea. In cima all'edificio soldati israeliani guardavano verso i campi con i binocoli. Miliziani libanesi arrivarono in una jeep e volevano portare via un'assistente sanitaria norvegese. Ci rivolgemmo ad un soldato israeliano che disse ai miliziani di andare via. Infatti partirono. Alle 11.30 circa gli israeliani ci condussero a Beirut Ovest. Sedetti sul sedile anteriore di una jeep della IDF. L'autista mi disse: - Oggi è il mio Natale (intendendo la festività ebraica del Roshanah). Vorrei essere a casa con la mia famiglia. Credete che mi piaccia andare porta a porta e vedere donne e bambini? - Gli chiesi quante persone avesse ucciso. Rispose che non era affar mio. Disse anche che l'armata libanese era impotente, erano stati a Beirut per anni e non avevano fatto nulla, che Israele era dovuta arrivare per fare tutto il lavoro.
Il numero della vittime non è mai stato accertato esattamente. La Croce Rossa Internazionale ha accertato una cifra di 2.750 morti, a cui vanno aggiunti i corpi nelle fosse comuni, quelli restati sotto le macerie e i deportati mai più tornati. Gli esperti internazionali stimano che le vittime siano state tra le 3.000 e le 3.500, il tutto in quaranta ore tra il 16 e il 18 settembre 1982.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato il massacro con la risoluzione 521 del 19 settembre 1982.
L’8 febbraio 1983, la commissione d’inchiesta istituita dalle autorità israeliane, presieduta da Itzhak Kahan dal magistrato, Aharon Barak, e dal generale di divisione Yona Ephrat, giunge alla conclusione che il diretto responsabile dei massacri era stato Elias Hobeika, nemico giurato dei palestinesi sin dall’inizio della guerra civile in Libano.
La stessa commissione ammetterà indirettamente la responsabilità nel massacro del ministro della difesa israeliana Ariel Sharon per non essere intervenuto ad impedirlo.
Elias Hobeika, dopo la fine della guerra, nel 1990, venne nominato ministro senza portafoglio nel governo di Omar Karami.
Nel 1992 eletto deputato e lo stesso anno nominato ministro per gli affari sociali nel primo governo del premier Rafiq Hariri. Fu poi rieletto nel 1996, e nominato ministro per le risorse idriche ed elettriche carica che ha ricoperto sino alla fine del 1999.
Nel giugno del 2001 la Corte di Cassazione belga, aprì un processo su Sabra e Shatila
A testimoniare sui rapporti che intercorrevano fra i falangisti e gli israeliani è chiamato Elias Hobeika ritenuto il responsabile materiale dell´eccidio.
Il 24 gennaio 2002 Elias Hobeika muore a Beirut in un attentato. Meno di 36 ore prima di saltare in aria con la sua Jaguar blindata, Hobeika aveva avuto un incontro "confidenziale" con due senatori belgi e si era detto pronto a fare "rivelazioni" sui massacri di Sabra e Shatila e sui rapporti che aveva avuto durante quei giorni con i generali israeliani che dipendevano dal ministro della difesa israeliana.

Sabry aka Iside

lunedì 13 settembre 2010

Inizia la scuola senza 22.000 professori, La Gelmini prova a scansare i fischi.




Tanto certa della svolta «storica» impressa alla scuola il ministro Gelmini oggi eviterà accuratamente di andare a prendere applausi al classico Mamiani o al Parini di Milano. Neppure nei disastrati istituti delle mille periferie abbandonate da questo governo al degrado, anche culturale. No, il ministro con un atto di coraggio alla rovescia andrà, secondo indiscrezioni, lì dove nessuno avrà soprattutto la forza di muoverle critiche: nella scuola del Policlinico Gemelli di Roma. Un gesto toccante, indubbiamente. Avrà accoglienze festanti.

Cercare applausi così è l’ultimo atto di una campagna demagogica servita a nascondere una realtà drammatica. Ieri c’è stata anche la copertura di Berlusconi che di certo non mette piede in una scuola da sessant’anni, in una scuola vera, di quelle scrostate, con i banchi segnati e le finestre chiuse da serrande mai riparate perché non ci sono soldi.

Più inglese, più informatica, più impresa, più internet? Ma lo sa il premier cosa prevede la riforma del suo ministro? Magari un test Invalsi in merito farebbe capire quanta distanza c’è tra la destra benpensante e la scuola in carne e ossa, derelitta da loro negli ultimi due anni, a partire da chi la fa, i professori. Una umiliazione per i genitori che hanno già ricevuto gli appelli dei capi d’istituto (quando ci sono, perché ne mancano sedicimila e si moltiplica dunque la figura del preside reggente, che per governare un’altra scuola riceve solo 700 euro in più, una miseria) a collaborare per la cartaigienica, le fotocopie, i toner, la pulizia delle aule, qualcos’altro?

La cosiddetta riforma delle superiori stronca vite e carriere. Migliaia di professori a cinquant’anni da oggi rinunciano a lavorare, perché nessuno li chiamerà. E non è affatto vero che saranno riassorbiti nei prossimi otto anni. La matematica non è un’opinione: tra quattro anni, quando la riforma andrà a regime in modo integrale anche nei licei, le ore per insegnare saranno molte meno delle attuali, già drammaticamente ridotte. I precari saranno sempre gli stessi, anzi di più.

La «svolta storica» di Gelmini riguarderebbe anche il merito. Ma come si fa ad assecondare i meritevoli quando in una classe ci sono anche 35 alunni e quasi mai meno di trenta... Come si fa a garantire il diritto all’istruzione ai disabili e ai non disabili quando il rapporto disabili prof di sostegno si alza, sempre più ragazzi per un docente, a dispetto di certe statistiche usate da giornali ben orientati a suonare fanfare, spesso senza conoscere sulla materia, al rigore fasullo di viale Trastevere.

L’ultima tirata demagogica riguarda la valutazione degli insegnanti. Magari, lo chiedono i professori stessi da anni, perché è certo, come in ogni dove, che a scuola ci sono i furbi e quelli che non si risparmiano mai, che fanno da docenti e da assistenti sociali, da madri e da padri di figli non loro in una società dove non si investe per superare le disegregazioni familiari. Ma come fa a dirlo un ministro che andò a cercare, con spregio del pericolo, la commissione meno severa per accedere alla professione di avvocato?

Fonte l’unità.it

I precedenti:

Nel marzo del 2000, una certa signora, presidente del consiglio comunale del Comune di Desenzano sul Garda per Forza Italia, fu espulsa da quella carica su mozione del suo partito, con la seguente motivazione [Delibera del consiglio comunale n. 33 del 31/03/2000]: manifesta incapacità ed improduttività politica ed organizzativa Questa signora si chiamava Maria Stella Gelmini. Pochi anni dopo fu "scoperta" da Silvio Berlusconi ed oggi è il Ministro dell'Istruzione e della Ricerca della Repubblica Italiana. (e questo è il sito del comune di Desenzano, basta inserire la data ed esce fuori la delibera http://servizionline.onde.net/eGov/atti.mac/input)

Oggi la ministra dimostra tutta la sua "incapacità" nella gestione ministeriale della scuola pubblica italiana, creando scompiglio ulteriore dopo i licenziamenti di massa.


Mentre Tremonti e i suoi mandanti devastano la scuola pubblica, favorendo il proliferare di istituti privati costosi e di dubbia qualità (anche nella nostra regione), la Gelmini ha generato l'ennesimo caos nella gestione delle graduatorie e nel conferimento delle supplenze.

Compie errori uno dietro l'altro, ma a pagarne le conseguenze è il personale amministrativo delle scuole (oltre ai precari tagliati ed ancora senza lavoro) il cui carico di lavoro sta aumentando notevolmente.
Inoltre, le ricadute di questa riforma, assolutamente nefasta, danneggiano innanzitutto gli allievi a cui continuano ad essere negati il regolare svolgimento delle lezioni ed il diritto alla continuità didattica
Migliaia di docenti e Ata licenziati, pluriclassi, classi sovraffollate e insicure, scuole nel caos e ancora senza insegnanti. Sarebbe un bene per tutto il Paese se questo Ministro si dimettesse al più presto, prima di fare altri danni peggiori di quelli che ha già fatto.

Coordinamento Precari Scuola Molise

Fonte: http://www.nuovasocieta.it/lettere/2830-sg.html

giovedì 9 settembre 2010

FEDERMECCANICA CONTRO GLI OPERAI, DISDETTO IL CONTRATTO DI LAVORO





Quello alle porte rischia di essere un autunno molto caldo per il mondo del lavoro. Se così sarà, la responsabilità ricadrà su Cofindustria e su un governo attentissimo alle esigenze delle lobby di poche grandi imprese, ma totalmente sordo alle richieste e ai diritti dei lavoratori.
Con una mossa che la dice lunga sulla longa manus dell’Amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, il direttivo di Federmeccanica ha infatti dato mandato al presidente, Pierluigi Ceccardi, di comunicare fin d'ora il recesso dal Contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008, a partire dal primo gennaio 2012. La disdetta, ha dichiarato lo stesso Ceccardi, è avvenuta “a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all'applicazione di tale accordo” ed è comunicata “in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende”. Una spiegazione che non convince e che dimostra, ce ne fosse stato bisogno, la dirompente portata delle condizioni di fatto “imposte” dalla Fiat ai lavoratori di Pomigliano d’Arco con l’accordo separato dello scorso giugno. Condizioni che ora si cerca di diffondere ad altre realtà produttive e che incideranno in maniera definitiva sul sistema economico e industriale del nostro paese nel suo complesso, e che dissiperanno sempre più il patrimonio di diritti faticosamente conquistati in decenni di lotte sindacali.
Anche per questo é incredibile e indegno che Federmeccanica paragoni ad una minaccia la legittima richiesta della Fiom del rispetto delle leggi vigenti. L’Italia dei Valori non tollera lo stravolgimento del significato delle parole di chi, in difesa esclusiva dei lavoratori, si rivolge ad un tribunale per avere il rispetto della legalità. La Fiom non può essere considerata una minaccia da combattere. La legge e i contratti sottoscritti, in particolare quello del 2008, possono essere certo disdetti, ma un contratto rimane in vigore fino a che non verrà sostituito da un altro in materia di lavoro e firmato dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Tutto questo ci dice che la mossa di Federmeccanica, al fine dello scopo dichiarato, risulta totalmente inefficace e, probabilmente, è stata suggerita da un altro esperto nell’aggiramento delle leggi italiane, Niccolò Ghedini.


lunedì 6 settembre 2010

FINI RILANCIA LA SFIDA A BERLUSCONI " PDL NON C'E' PIU "




Bindi, Letta, Marini, Franceschini, per le prossime elezioni, quando si faranno, dovrete accontentarvi di Vendola e Di Pietro, sperando che non riusciate a farvi detestare, perché oggi Fini è stato chiaro, a voi non ci pensa proprio!!!! write26



Nell'atteso discorso alla Festa Tricolore il presidente della Camera parla per ottanta minuti. Attacchi al premier, ma non c'è l'annuncio del nuovo partito. "Da noi niente ribaltoni, ma il partito deve rinascere". Scontro coi colonnelli. "Sì al Lodo, ma niente leggi ad personam". "No a un federalismo contro interesse di tutti. Priorità a economia e occupazione". Sulla campagna del Giornale: "Attacchi infami contro la mia famiglia"
di PASQUALE NOTARGIACOMO

MIRABELLO (FERRARA) - Niente nuovo partito. Ma una sfida aperta al Cavaliere. Al quale chiede un nuovo patto di legislatura, fino al 2013. Ma sul quale fa cadere una dopo l'altra parole pesanti come macigni. Sulla giustizia, con lo slogan garantismo non è impunità; sulla politica estera, con l'attacco alle "genuflessiono" a Gheddafi; sull'economia, con il sostegno alle proteste di scuola e polizia; sulla concezione stessa di politica, ricordando al premier che "governare non è comandare".

Per Gianfranco Fini, Mirabello non è un posto come gli altri. Questo è "il luogo delle emozioni". Lo dice all'inizio del suo attesissimo discorso. Le emozioni di ieri e dell'altro ieri sono niente in confronto a quella di oggi. Ottanta minuti in cui il presidente della Camera ritrova se stesso (dopo 36 giorni di silenzio pubblico) e il suo esercito. Senza più colonnelli o capitani. Ma con il fermo proposito di portare avanti la battaglia di Futuro e Libertà. Non per tornare in un partito, il Pdl, che non esiste più avendo tradito il suo stesso nome, con l'espulsione illiberale del 29 luglio. Ma neanche, non ancora per lo meno, per dare vita a un nuovo soggetto politico, come speravano molti dei militanti. Malumori che, al momento di lasciare la piazza, qualcuno ha esternato nei commenti con il proprio vicino.

La sfida a Silvio Berlusconi ha i connotati di un nuovo patto di legislatura, per scongiurare quelle elezioni anticipate che sancirebbero un fallimento di entrambi. Le condizioni però sono al rialzo: non è il più il tempo dell'acquiescenza o della subalternità alla Lega. Si va avanti ma senza ultimatum e senza perseguire obiettivi che non erano nel programma e non corrispondono ai bisogni reali del paese: la priorità va all'economia. E non alla questione della giustizia: il garantismo, ripeterà più volte Fini, non significa impunità permanente. Tutto questo senza lasciarsi condizionare da ultimatum o intimidazioni che sottolinea il presidente della Camera, quando come in queste settimane prendono di mira la famiglia (attraverso una vera e propria "lapidazione"), non sono altro che un costume tipico degli "infami".

Lo scambio emozionale tra la piazza e il suo leader è costante durante tutto il discorso. Il presidente della Camera fa diverse concessioni alla pancia e al cuore del suo uditorio. Prima di tutto, come ogni team che si rispetti, tutta la squadra di Futuro e libertà viene presentata dal deputato Luca Bellotti. Applausi per tutti e ovazione per Mirko Tremaglia, il legame più solido con la storia che fu. Non è tempo per buoni o cattivi, come canta Vasco Rossi, in uno dei brani della colonna sonora scelta dagli organizzatori. L'attesa però si scioglie soltanto quando arriva il presidente della Camera. Sale sul palco dopo che hanno portato i loro saluti emozionati il padrone di casa Vittorio Lodi, organizzatore di 29 edizioni della festa Tricolore, il giovane Giuseppe Tatarella, che cita il padre Pinuccio, in quello che è un altro omaggio alla memoria della destra di casa nostra. E Chiara Moroni, che è invece un'iniezione di novità culturale e politica da sottolineare.

Il resto si consuma, appunto, nel rapporto tra l'uditorio e il presidente della Camera. Che sa evocare sapientemente gli umori della piazza di casa. Sale sul palco alle 18.26 e ci vuole almeno un minuto prima che riesca a prendere la parola, sommerso dal boato e dal coro "Chi non salta Berlusconi è!". E cita subito un "grande uomo", quel Giorgio Almirante che nella stessa piazza aveva auspicato un salto generazionale aprendo la strada alla successione del suo Delfino. Primo applauso convinto, così come quando Fini prende di mira due tagli particolarmente sgraditi della manovra economica: quelli alle forze di polizia culminati nella manifestazione di Venezia e quelli alla scuola che hanno provocato le "giuste proteste dei precari", condannati alla lotteria delle cattedre. L'attacco al ministro Gelmini non è roba da poco. Come quello riservato alla Lega sulle quote latte, e sui veti posti ai provvedimenti sulla liberalizzazione delle municipalizzate e sull'abolizione delle province.

Ma è in almeno altre due occasioni che il presidente della Camera parla davvero alla pancia del suo pubblico. Quando definisce poco decoroso lo spettacolo offerto dalla visita in Italia del Colonnello Gheddafi: uno, dice Fini, che non può insegnare niente né sulla libertà della donna, né sui diritti civili. E' la condanna della "genuflessione" che i finiani aspettavano dalla mattina. Prima ovazione. La seconda ancora più convinta si materializza quando è a essere evocati sono "quei colonnelli o capitani, che hanno soltanto cambiato generale e magari sono pronti a cambiarlo di nuovo". E' standing ovation mentre a parecchi ex An dovranno essere fischiate le orecchie.

La parte restante riguarda il duello a distanza con il presidente del Consiglio. Le colpe di quest'ultimo sono note. La più grave è aver decretato un'espulsione illiberale, "da libro nero dello stalinismo", del cofondatore del Pdl e dei suoi seguaci, durante l'ormai famoso ufficio politico del 29 luglio. Un atto "lesivo della dignità del partito stesso", sottolinea Fini, degno di chi non ha ancora compreso che "in democrazia non ci sono eresie". E che "governare non significa comandare" come succede per le aziende di famiglia. Ecco perché il Pdl non esiste più. Esiste il partito del Predellino o Forza Italia allargata, sono le due definizioni coniate dal presidente della Camera. Va da sé che rientrare in ciò che non esiste più non è possibile. Fli va avanti, ancora senza un proprio partito. Senza cambi di campo e senza l'obiettivo della ricomposizione o peggio del "perdono" forzato. Un segnale di compattezza, a quanti "dilettandosi di ornitologia", scherza Fini ci dividono in falchi e colombe.

I contenuti del nuovo patto di legislatura - che secondo Bersani somiglia più che a una proposta al vecchio gioco del cerino - sono già destinati a far discutere. Capitolo giustizia: la magistratura è un caposaldo della nostra democrazia, premette Fini, anche se ci sono alcune mele marce. Fatto salvo l'obiettivo di tutelare le alte cariche dello Stato, non sembrano percorribili ipotesi (come la norma provvisoria contenuta nel provvedimento sul processo breve) che cancellano tanti procedimenti colpendo cittadini che aspettano da anni di veder riconosciuti i propri diritti. Uno stop alla norma a cui sta lavorando la maggioranza con il consigliere giuridico del premier. Quel Niccolò Ghedini a cui il presidente della Camera riserva l'immagine del Dottor Stranamore che "dovrebbe risolvere una cosa e non lo fa mai". Altro punto contestato, eppure sempre nell'agenda di governo, il federalismo che è accettabile, precisa Fini, solo a patto di non penalizzare il Sud. Non manca un accenno anche alla legge elettorale, con un mea culpa per un sistema che riserva agli elettori non più la sovranità popolare ma un "prendere o lasciare". Un passaggio che farà arrabbiare Umberto Bossi.

Infine, l'economia. Contrastare la crisi non basta, è il monito di Fini, bisogna far ripartire il paese. Tremonti è avvisato. "Fa piangere il cuore un ragazzo su 4 non lavori", rileva il presidente della Camera, "colpa anche di chi contrabbanda per flessibilità una precarietà eterna". Mentre sulla mancata nomina del ministro dello Sviluppo Economico ormai, scherza il presidente della Camera, aspettiamo l'oracolo di Delfi.

Il finale è ancora un richiamo al cuore della platea, a quello di quando avevamo 18/ 20, dice Fini ai suoi. E a valori tradizionali della destra come il senso della patria e l'etica del dovere. "Se è un uomo non ha fiducia nelle sue idee e non è pronto a impegnarsi per esse o non valgono nulla quelle idee o non vale quell'uomo". Scatta l'applauso che chiude il discorso. Titoli di coda con il presidente della Camera che beve finalmente un bicchiere d'acqua e si rilassa cantando l'inno, complimentato dai suoi. Spunta ancora il sempre eterno Tremaglia, sorretto a fatica, ma ancora con il tricolore in mano.
(05 settembre 2010) fonte: larepubblica.it

sabato 4 settembre 2010

Caso De Magistris: chiesto il rinvio a giudizio per tre procuatori. Magistratura calabrese nel caos





Chiesto il processo anche per politici, avvocati e imprenditori. De Magistris: «il Csm sapeva»


Sono di poche ore fa i primi "verdetti" legati alle denunce dell'ex Pm di Catanzaro, Luigi De Magistris, oggi europarlamentare dell'Italia dei Valori, in merito a presunti tentativi di delegittimazione ed ostacolo alla sua attività di magistrati nel capoluogo calabrese.
La procura di Salerno, infatti, ha richiesto il rinvio a giudizio per il procuratore della Repubblica Mariano Lombardi, il procuratore aggiunto Salvatore Murone, il procuratore generale facente funzioni Dolcino Favi. Chiesto il processo anche per i presunti beneficiari e istigatori delle condotte illecite, e cioè l'imprenditore Antonio Saladino, l'avvocato e senatore Giancarlo Pittelli (Pdl), l'ex sottosegretario alle Attività produttive Pino Galati (Udc), la moglie di Lombardi Maria Grazia Muzzi, e il figlio di lei, l'avvocato Pierpaolo Greco. Tra i reati contestati ad alcuni magistrati

figurano la corruzione, il falso e la corruzione in atti giudiziari.

Secondo la Procura di Salerno, quindi, le inchieste “Why Not” e “Poseidone” furono sottratte illegalmente a Luigi De Magistris nel 2007.

Pesantissimo, anche nei confronti del Csm, il commento dello stesso De Magistris: «nonostante il Csm fosse informato da tempo sulle gravi commistioni e le illegalità che interessavano i vertici degli uffici giudiziari di Catanzaro, non ha mai ritenuto di dovere intervenire. Oggi alcuni di quei magistrati sono saldamente al proprio posto, anche titolari di inchieste delicate, come quella assegnata all'aggiunto Murone sugli attentati al procuratore generale di Reggio Calabria. Quello stesso Csm ha invece dimostrato una solerzia straordinaria quando, al termine di processi disciplinari farsa, ha proceduto all'esecuzione professionale mia, e dei valorosi colleghi di Salerno Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani. La procura di Salerno conferma che Why Not e Poseidone mi furono sottratte illegalmente, in seguito ad un accordo corruttivo, tra i vertici degli uffici di Procura e alcuni indagati».

Pittelli ha subito replicato: «De Magistris dovrebbe sapere, ma sarebbe pretendere troppo dalla sua cultura giuridica, che la richiesta di rinvio a giudizio rappresenta soltanto un’ipotesi di accusa tutta da verificare. La parte più interessante di tutta la storia deve essere ancora scritta. E la verità, su gruppi e manipoli, non tarderà a ristabilire gli esatti contorni della più vergognosa impostura mai verificata in ambito giudiziario-politico».

Le prime risposte giudiziarie sul “caso De Magistris” arriveranno esattamente tra due mesi, il 3 novembre, quando il gip Vincenzo Pellegrino deciderà sulle richieste dei pm.

Peppe Caridi

fonte:http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7197292628361868340